La fatica del talento ad affermarsi nel calcio italiano. È questa la chiave che accomuna le due lettere. Una costante storica: siamo pur sempre la Nazionale che negli anni 60 metteva in discussione Rivera, il giocatore italiano più forte di ogni tempo, come Insigne lo è in questo momento. Comincio da Pirlo, esprimendo un giudizio molto distante da quello del signor Dall’Arco: proprio di grandissimo nel suo ruolo si tratta. Eccezionali la sua visione di gioco e la purezza e precisione del calcio di collo. E difendeva tantissimo: sgombriamo il campo da questa postverità perché correva più di quasi tutti i compagni. Eppure il suo talento stava per essere bruciato dallo schematismo del calcio italiano che tende a schiacciare creatività e fondamentali nel ruolo di trequartista, l’unico in realtà in cui li sopporta. Dobbiamo alle intuizioni di Mazzone (si può far giocare insieme Pirlo e Baggio? Risposta: certo che si può), Ancelotti e dello stesso giocatore se abbiamo perso un fantasista qualunque e acquisito un playmaker d’epoca. Ora Insigne viene probabilmente tagliato dalla formazione titolare perché disfunzionale nel 532 di Ventura. Motivo? Lorenzo non potrebbe coprire tutta la fascia (con il 451 di Sarri in fase di non possesso lo fa, ma non molti lo vedono). Dunque, in sostanza, le indicazioni del campionato contano poco. Controprova: Bonucci. Un avvio di stagione disastroso non ne mette in discussione la quotazione consolidata in anni precedenti. I c.t. azzurri sono molto più selezionatori che allenatori? Può darsi, ma selezionano solo chi è coerente con la loro idea di calcio. Lo vedo fare da tutti i tecnici del mondo. Uno dei luoghi comuni più abusati di questo ambiente è che gli allenatori si adeguano al materiale a disposizione. Ma quando mai? Prendete Sarri: con gran parte della squadra ereditata da Benitez ha felicemente imposto ben altro gioco.Tutti a tifare Italia e Ventura, naturalmente, ma consapevoli che esiste un’altra strada. Quella che parte dai giocatori di spicco, in assoluto o del momento. Quella che nei tanti Bar Sport della Penisola si sintetizza nella brutale formula: «Fai giocare Insigne e altri 10, non c’interessa come». E che valeva anche per Rivera e Pirlo. Mettere al primo posto il talento individuale e non il sistema di gioco. Cucire un vestito sulla taglia dei migliori, non fornire misure standard in cui non possono ritrovarsi. Anche Montella, con Suso, ha in fondo problemi simili: aveva la migliore ala destra del campionato, ma l’ha messa in discussione eliminando di fatto il suo ruolo nel nuovo assetto del Milan. Intendiamoci: forse hanno ragione loro, i tecnici. Che vedono molte cose per noi non percepibili. C’è sicuramente un buon motivo per cui non sfideremo la Svezia con un semplice 433 e Insigne ala sinistra. Ventura va inoltre sostenuto su un punto dialettico, a mio avviso non colto dal signor Tradate: si può giocare bene o male con ciascun sistema. È l’interpretazione che conta, cioè la furia che metti in campo, i tre scatti in più, la ferocia agonistica. Li abbiamo visti con Conte, li esige ora Ventura. È questo in realtà il bene che s’intende scambiare con qualche esclusione illustre. Speriamo tutti che il baratto riesca, ricacciando indietro i nostri dubbi.
Fonte: GdS (A cura di Franco Arturi)