Il Mattino – Franco Carraro non dimentica l'”infame” dei napoletani

Carraro si rifiutò di salvare il Napoli, alla fine De Laurentiis prese in mano la situazione

Il Mattino – Franco Carraro non dimentica l'”infame” dei napoletani

«Ciampi, presidente della Repubblica, all’inaugurazione dei Giochi di Atene, prende in una stanza me e Petrucci e chiede: Ma non si può trovare una soluzione per il Napoli?. Gli rispondo che le regole vanno rispettate. E lui: Sì, ma il Napoli è il Napoli». 
Franco Carraro, allora presidente della Federcalcio, svela questo retroscena sulla rovente estate del fallimento del Napoli nell’autobiografia «Mai dopo le ventitré» (Rizzoli, pagg. 304, euro 22) scritta con la giornalista di «Repubblica» Emanuela Audisio. Lui, soprannominato Poltronissimo per l’impressionante quantità di poltrone occupate nel mondo dello sport e della politica (attualmente è senatore e componente del Comitato olimpico internazionale), e il presidente del Coni Petrucci costretti a respingere il pressing di Ciampi, livornese innamorato di Napoli. «Le regole vanno rispettate».
In quei giorni del 2004, dopo la fine del Napoli, Carraro diventò il nemico numero uno di gruppi ultrà azzurri che appoggiavano lo spericolato Luciano Gaucci, già patron di Perugia, Catania e Viterbese. A distanza di tredici anni, l’ex presidente della Federcalcio fa la ricostruzione del crac del club «dove non c’è più il presidente Corrado Ferlaino, sempre presente ai grandi eventi, una persona generosa e un vero amante del calcio. Ma, dopo di lui, il Napoli cade nei problemi. Ce li ha con Giorgio Corbelli e Salvatore Naldi. E in questo caos chi c’è dietro? Gaucci, il quale arma un gruppo di tifosi per proporre soluzioni pasticciate». Il pallino non è nelle mani della Federcalcio – ricorda Carraro – ma in quelle della Fallimentare del Tribunale di Napoli. «Al di là delle provocazioni di Gaucci, non c’era niente. Il Napoli non aveva futuro perché non c’era voglia di prenderlo».
Si aprì un’asta, dalla quale venne escluso il patron del Perugia che aveva intanto creato una squadra fantasma, affidata all’allenatore Gregucci, chiedendo un’impossibile iscrizione al campionato di serie B 2004-2005. Le regole, dalle quali aveva affettuosamente chiesto una deroga il presidente Ciampi, dovevano essere rispettate e il Lodo Petrucci prevedeva l’iscrizione alla serie C. «Per fortuna, all’ultimo momento, arriva Aurelio De Laurentiis. Il quale, se avesse avuto l’idea di acquistare il Napoli tre mesi prima, lo avrebbe pagato niente, come d’altra parte aveva fatto Della Valle nel 2002: zero euro per la squadra viola. Invece De Laurentiis deve pagare 30 milioni di euro al fisco e al Comune di Napoli per prendere la società che era retrocessa in C», la ricostruzione di Carraro nel libro in cui racconta la sua lunga storia di dirigente e di politico, tra vittorie (a 28 anni diventò presidente del Milan) e bufere (Calciopoli). Il titolo ispirato all’abitudine dell’ex presidente della Figc e del Coni di andare a letto presto: mai un appuntamento o una telefonata oltre le ore 23, appunto.
Carraro ricorda le scritte e le minacce ricevute in quei giorni caldissimi da Napoli, «una città per me vietata come Bologna, Catania, Genova, Perugia». Nelle curve del San Paolo vennero esposti nei due anni di serie C striscioni con la sua faccia e la scritta «Carraro infame». Multe puntuali dal giudice sportivo e una domenica, 29 settembre 2005, l’arbitro Celi minacciò di non far giocare la partita a Pistoia se quel drappo non fosse stato rimosso. Durò mezz’ora la trattativa del dg Marino e del capitano Montervino con gli ultrà inferociti nei confronti di chi – per fortuna di Napoli e del Napoli – s’era opposto a Gaucci, intanto fuggito a Santo Domingo perché ricercato con l’accusa di bancarotta fraudolenta.

La Redazione

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