Il Mattino – Reazioni diverse negli stadi per Anna Frank
Chi ha ascoltato in silenzio, chi ha coperto le parole di Anna Frank con cori in segno di offesa: «Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto, odo sempre più forte il rombo l’avvicinarsi del rombo che ucciderà noi pure, partecipo al dolore di milioni di uomini, eppure, quando guardo il cielo, penso che tutto volgerà nuovamente al bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che ritorneranno l’ordine, la pace e la serenità». Queste parole del Diario, datate 15 luglio 1944, sono risuonate ieri negli stadi italiani dove si svolgevano le partite della serie A. Il libro-testimonianza, insieme a Se questo è un uomo di Primo Levi, è stato portato in campo dai bambini prima del fischio d’inizio: le copie firmate dai capitani delle formazioni e dagli arbitri. Questa semplice, bella cerimonia ha però destato differenti reazioni sugli spalti. La giovane vittima, simbolo della Shoah, dove ha trovato serenità, dove il vergognoso insulto antisemita: segno di uno spirito guasto che alberga in settori della società e quindi della comunità calcistica del tifo.
A Torino, per Juventus-Spal, una parte della curva sud, occupata dagli ultrà, ha intonato l’inno di Mameli mentre la voce dagli altoparlanti diffondeva quelle parole di dolore e di speranza. A Firenze, per Fiorentina-Torino, qualche fischio, per fortuna isolato, ha interrotto il minuto di raccoglimento che ha preceduto l’inizio dell’incontro. A Roma, per Roma-Torino, ci si attendeva una reazione più composta: proprio l’immagine di Anna Frank, fotomontata con una maglia giallorossa, è stata l’atto che ha giustamente scatenato l’indignata polemica contro i laziali. E all’Olimpico, durante la lettura del brano, è partito un coro assai poco sportivo dalla Curva Sud, quella stessa dove domenica sera i tifosi biancocelesti avevano attaccato gli adesivi antisemiti. Va aggiunto che al termine della lettura il resto dello stadio ha applaudito in modo compatto, in segno di omaggio alla giovane tedesca scomparsa nel campo di concentramento di Bergen-Belsen.
Naturalmente il massimo dell’attenzione era puntata a Bologna, dove i felsinei hanno ospitato proprio la Lazio. La serata bolognese ha confermato le diverse, opposte sensibilità che vivono in quel contesto. In attesa di entrare nello stadio Dall’Ara, un centinaio di tifosi della Lazio ha cominciato a cantare cori da stadio, dopo si è passati alla Società dei magnaccioni e infine il canto fascista Me ne frego, accompagnato da alcune braccia tese nel saluto romano. Un comportamento che certamente ha creato ulteriori imbarazzi alla società guidata da Claudio Lotito, a sua volta messo in difficoltà dalla diffusione delle sue frasi sulla «sceneggiata» alla sinagoga capitolina. La Lazio, nella città medaglia d’oro della Resistenza, ha comunque deciso di testimoniare una forte presa di distanza dal comportamento di alcuni suoi tifosi. Il primo gesto è stata la deposizione di una corona di fiori ai piedi della lapide che allo stadio Dall’Ara commemora il ricordo di Arpad Weis, l’allenatore ebreo ungherese che, alla fine degli anni 30, portò il Bologna alla conquista di due scudetti e di un trofeo dell’Esposizione a Parigi, una sorta di mondiale per club di quei tempi. Weis finì i suoi giorni nell’inferno di Auschwitz, il 31 gennaio 1944. A Weis è intitolato proprio il settore ospiti, quello cioè dove ieri si trovavano i tifosi biancocelesti. La squadra della Lazio ha inoltre deciso di indossare, durante l’allenamento pre-partita, una maglietta bianca con sopra la scritta No all’antisemitismo e l’immagine del volto di Anna Frank. Sul volto simbolo della persecuzione nazista si è basata anche l’iniziativa dell’associazione W Il Calcio, che all’ingresso dello stadio ha distribuito immagini col viso della ragazza: in divisa biancoblu. Da sottolineare il comportamento esemplare dell’intero stadio che ha tributato rispettoso silenzio alla lettura del Diario: alla fine è partito un applauso da tutto il Dall’Ara, compreso il settore ospiti coi supporter biancocelesti, ma senza gli Irriducibili. E a proposito del rapporto tra la società romana e le sue frange più estremiste quando non dichiaratamente razziste, queste le parole del direttore sportivo Igli Tare sul caso degli adesivi: «Va condannato il gesto assolutamente e noi siamo una società che da anni è un esempio contro il razzismo. Purtroppo questa cosa ci ha coinvolta ancora e penso che chi ha fatto quel gesto vada condannato e radiato dagli stadi. Però non è giusto indicare la tifoseria della Lazio come la pecora nera. Noi veniamo da un periodo molto lungo di lotta contro questi eventi e negli ultimi due anni la tifoseria della Lazio sta cercando di trovare la giusta strada. Io sono convinto che queste cose sono anche degli sfottò tra tifoserie, nel quartiere dove vivo sui muri ci sono delle scritte come laziale ebreo».
Sotto osservazione era tenuta la partita bergamasca tra Atalanta e Verona. I tifosi veneti annoverano frange di ultrà, gemellati con gli Irriducibili laziali, che hanno in repertorio cori in cui inneggiano a Hitler. Ieri a Bergamo tutto si è per fortuna svolto in maniera composta. Nessun problema sugli spalti. Stesso, positivo copione anche a Cagliari, per la sfida dei sardi con il Benevento.
La Redazione