Carmine Esposito, classe ‘70, oggi allenatore del Lusitano nella B2 portoghese, ha fatto con Spalletti i tre anni trionfali di Empoli, dal ‘95 al ‘98, una promozione dalla C alla B, un’altra dalla B alla A, una salvezza in A e in mezzo una Coppa Italia di Serie C. Sempre da capocannoniere della squadra e da bomber-record in A con 14 gol. Tempo fa ha scritto la sua autobiografia “Undici rose blu” con la collega Michela Lanza e ha dedicato a Spalletti alcuni passaggi divertenti. Del giorno della prima promozione in B, ha scritto: “Ho ancora un’immagine nitida davanti a me: Spalletti, con i suoi occhi sgranati e spiritati, i due capelli che aveva ancora in testa, e la bocca spalancata a gridare la sua gioia, che si aggrappa alle cancellate del “Braglia” di Modena per esultare con i nostri tifosi”.
Cosa aveva Spalletti di speciale negli anni empolesi?
«Risposta scontata, era già allora un grande allenatore, oggi è il più grande».
Com’era a quei tempi?
«Era pignolo, un rompiscatole tremendo. Aveva una particolarità, si sentiva ancora giocatore e capiva i problemi dello spogliatoio. Quando univa il suo passato da calciatore al suo presente da allenatore diventava unico. A noi diceva: “Ragazzi, io voglio fare l’allenatore e voi dovete darmi una mano”. L’ho rivisto nell’aprile scorso a Bologna, prima di Bologna-Roma. Mi ha detto: “Ti devo ringraziare: se sono qui è anche merito tuo”».
Due promozioni, una Coppa Italia di C, una salvezza, ma soprattutto un bel gioco. Era l’Empoli di Spalletti.
«Sì, giocavamo bene, sempre con tre attaccanti».
Qual è stata la squadra più bella allenata da Spalletti?
«La prima Roma. Giocava un calcio entusiasmante».
Lei è stato allenatore degli Allievi dell’Empoli quando Sarri era alla prima squadra. Che differenze vede fra i due?
«Hanno un punto in comune: curano i dettagli come nessun altro. In tre anni, non ho perso un solo allenamento di Sarri anche perché mi portavo dietro le parole di Spalletti: “Se vuoi diventare allenatore, devi vivere 24 ore al giorno per il calcio”».
Fonte: cds