Si può dire di se stesso, di Antonio Careca, di quel Napoli e di questo, evitando di cadere in paragoni improponibili; si può dire ciò che si sente, si prova, mentre si sta accomodati dinnanzi ad un televisore, dall’altra parte della terra, e si pensa che qualcosa possa accadere. «E sarebbe anche giusto che succedesse. Perché lo scudetto questo Napoli lo merita». Si può restare inchiodati nel passato, per un po’, e magari lanciarsi immediatamente nel futuro, andando a scorgere nell’orizzonte questa Napoli-Inter che riconduce magicamente (ancora, di nuovo) in quei meravigliosi anni ‘80, quando tutto sembrava potesse realizzarsi, anche il più impossibile dei sogni, ed infatti capitò: due volte, per la precisione, e nella seconda c’era Antonio Careca nel cuore delle aree di rigore avversarie, un “mostro” di quell’epoca, un divo per l’eternità che da Napoli non si è mai staccato, né ha lasciato che la memoria lasciasse impolverare quei fotogrammi. «Io so cosa dire vincere lo scudetto a Napoli, non è come altrove. Io penso di essere il più grande tifoso che ci sia in giro, però sono anche razionale e sfuggo dal clima festoso, non lo alimento: siamo appena all’ottava giornata, è troppo presto per lasciarsi andare in proclami. Ma si possono fare ragionamenti che sostengano questa tesi».
CHE SPETTACOLO. Se ne è andato via il tempo, sfilato rapidamente via tra eclissi, fallimenti e questa resurrezione che in tredici anni ha trascinato dal nulla all’Olimpo e che Antonio Careca sottolinea con parsimonia, affinché non si cada nell’errore di esaltarsi rovinosamente: «Direi che tutto ciò che il Napoli sta realizzando, ormai da quattro o cinque anni, è giusto abbia una sua naturale conclusione. Ma è anche chiaro ed indiscutibile che la strada è lunga: c’è la Juventus, che ha dimostrato con i suoi sei scudetti la propria forza; c’è la Roma; c’è anche l’Inter, che arriva sabato al San Paolo…Però, io dico Napoli…».
LA SUPERSFIDA. Eccola qua la partitissima, quella che aiuta a ritrovarsi in quell’ottobre dell’89, quella che può rappresentare una “mezza” svolta per questo campionato, sistemandolo – almeno apparentemente – in discesa: è Napoli-Inter ed è la partita che Careca sbloccò all’epoca e che pensa possa servire, eccome, per dare ulteriore slancio a questa squadra dalla quale è rimasto rapito ripetutamente, anche nell’ora finale di Manchester. «Io spero che finisca come quella volta, ovviamente. Però, ho visto l’Inter e sta attraversando uno splendido momento, gioca e riesce a vincere gare anche complicate. Il Napoli mi dà l’impressione di essere comunque più squadra, ha un suo gioco collaudato, ed ha tantissima qualità».
DEDICATO A VOI. Trent’anni (circa) sono rimasti dentro, è una emozione che Careca non ha cancellato, se l’è ritrovata incollata nella pelle, nella testa: «Rivedo le facce felici dei nostri tifosi, ripenso alla loro allegria. Penso di non esagerare se ritengo questa città unica nel suo genere. E mi sta colpendo anche l’atteggiamento della gente, adesso. Il Napoli diverte e lo scudetto sarebbe un premio per tutti: per Sarri, per i calciatori che restano protagonisti principali, per De Laurentiis che ha capito cosa chiede Napoli. Mi auguro che anche questi giocatori possano entrare nella Storia e che poi, a maggio, possano tornare tutti i campioni per la festa. Ma adesso no, non è il momento delle celebrazioni».
E’ l’ora e mezza di Dries Mertens e di Maurito Icardi, è una partita in cui due scuole di centravanti si mettono a confronto, anche dinnanzi ad un “maestro” di quell’epoca che non svanisce mai. «Sono bravi entrambi, non si discute: Mertens ha scoperto da poco questo ruolo, Icardi lo ha conosciuto dalla nascita. Ma a me sembra che il belga abbia qualcosina in più. E comunque entrambi sono il 20% di Careca». I brasiliani son (giustamente) fatti così…
Fonte: CdS