CAMPIONI si nasce, non si diventa. Anni fa ebbe la pretesa di certificarlo uno studio scientifico cinese, dopo aver confrontato le dimensioni dei cervelli di Ronaldo, Ibrahimovic e Messi con quelli di atleti di seconda fascia: anche geneticamente meno dotati. Ma l’assioma ha un valore solo relativo in uno sport di squadra come il calcio, in cui oltre alle qualità individuali possono talvolta fare la differenza altri fattori: non ultima la programmazione fuori dal campo, peraltro sempre più demodé ad alti livelli. Mancava da parecchio tempo, infatti, un primato in classifica come quello del Napoli: rimasto l’unico dei top team d’Europa ancora a punteggio pieno nel suo campionato e arrivato lassù senza la scorciatoia di una campagna acquisti stellare, che il club di De Laurentiis nemmeno volendo si sarebbe potuto del resto permettere. Restava un’altra strada: provare a stravolgere le gerarchie attraverso la più laboriosa costruzione di un ciclo, basato sulla continuità e realizzato step by step. «Stiamo raccogliendo i frutti di un lavoro cominciato nel biennio di Rafa Benitez e proseguito alla grande con Sarri, col fiore all’occhiello dei bilanci sempre in regola e senza aver mai sforato i paletti del fair play finanziario», può gonfiare il petto Aurelio De Laurentiis, contestato durante l’estate per il suo mercato senza effetti speciali. Ma sta pagando la scelta del Napoli di investire il suo tesoretto sulle conferme di Mertens e Insigne, molto più costose degli acquisti di Ounas e Mario Rui. Era importante dare un segnale forte di continuità anche allo spogliatoio, traumatizzato l’anno prima dalla cessione di Higuain. Blindando tutti i big, infatti, il presidente ha tranquillizzato in un colpo solo il suo tecnico e pure i giocatori, che si sono ricompattati nel patto scudetto. «Può essere la volta buona: per questo nessuno di noi ha preso in considerazione altre offerte», ha ribadito Insigne dopo l’exploit contro la Roma. Più prudente Hamsik. «Ci aspetta un viaggio molto lungo». Anche l’ambiente ha imparato ad avere pazienza. I 500 tifosi che hanno atteso la squadra nella notte, alla stazione, non sono la spia di un’euforia fuori controllo. Il primato del Napoli ha basi sufficientemente robuste, non è il frutto di un’ascesa estemporanea. «Guardate l’Empoli e la sua organizzazione: è quello che potremo diventare noi fra tre anni», disse al suo arrivo Maurizio Sarri, con un’affermazione interpretata da molti come una battuta. Invece parlava sul serio, il tecnico venuto dalla provincia e bravo ad assemblare con il tempo gli ingredienti trovati al suo arrivo. Nove degli undici titolari schierati contro la Roma facevano già parte del gruppo di Benitez, nel ciclo partito con le vittorie in Coppa Italia e Supercoppa e finito col meno lusinghiero quinto posto. De Laurentiis non lo ha azzerato, però: è anzi ripartito da lì e ha puntato su programmazione e continuità, senza lasciare niente al caso: «A gennaio, quando avremo Inglese, vorrei prestare Milik al Chievo: così avrà più spazio e sarà in forma per la prossima stagione». Perfino lo scudetto può diventare una tappa, insomma: come quella intrigante di domani a Manchester. «Il City di Guardiola è super, però la Champions non si molla». La scommessa è diventare campioni grazie al lavoro, non al Dna: checché ne pensino i cinesi.
Fonte: Repubblica