Esagerati: come natura insegna e vocazione conferma; come tendenza suggerisce ed ispirazione comanda. Come il Napoli che quando viaggia, incurante del fattore campo, impone: perché qua non bisogna negarsi nulla, men che meno le emozioni. Insomma: come da un anno a questa parte, perché ormai non ci sono più differenze: vince chi segna un gol in più – e se si perde, pazienza: succede – e bisogna fare il possibile ed anche l’impossibile per riuscirci. Dal 23 ottobre del 2016, dodici mesi esatti, il Napoli sa come si fa, cosa si fa, quanto e quando si fa.
L’ultimo black-out si perde nel pallore di un pomeriggio strano, insolito, in cui il Napoli non riesce ad essere se stesso, complici i meriti dell’Atalanta di Gasperini (che farà il bis al ritorno): finisce 1-0 per la Dea, che rischia persino poco, quasi niente, che apre crepe però immediatamente rinchiuse da una squadra che da quel momento si riappropria del proprio statuto. Articolo 1: segnare. E (ri)nasce questa cooperativa che diverte, delizia, esonda, ma gradualmente: comincia con un ritmo umano (due reti al Crotone, poi uno inutile alla Juventus, ed altri due all’Udinese), prima si scatenarsi e maramaldeggiare: a Cagliari c’è la svolta, la manita per salutare quel momento-no ormai alle spalle.