7 vittorie su 7, 3.57 goal di media a partita ed una compattezza che mai gli azzurri avevano mostrato prima d’ora. Si parla oramai ogni giorno del Napoli di Sarri, capace di riscrivere decine di record in soli tre anni di lavoro. Analizzare l’avvolgente gioco della squadra o il potenziale offensivo imbarazzante della CMI (Callejon-Mertens-Insigne, gli acronimi vanno di moda per i tridenti d’attacco) è una pratica retorica e banale. Quella vista sul rettangolo verde è una corazzata a tratti surreale, a cominciare dal suo goleador: un Mertens nato falso nueve, tramutatosi, come in una fiaba, in centravanti senza logica. La lucidità e la follia con cui il belga fonde le proprie giocate è lo ying e yang sarriano, il credo su cui poggia la filosofia tattica del tecnico di Bagnoli. Il Napoli, questo Napoli, ha incominciato a far paura alla stessa Juventus, meno coriacea e più frizzantina rispetto agli scorsi anni. Cosa divide allora i partenopei da un obiettivo dichiarato apertamente come lo scudetto? I più risponderanno la continuità di rendimento, ma si tratta di un’affermazione vera solo in parte. Gli azzurri, la scorsa stagione, con un girone di ritorno monstre hanno già dimostrato di poter ottenere risultati positivi per lunghi periodi. Ciò che manca realmente al Napoli è l’abitudine a gestire la pressione: non a caso, il cambio di marcia è avvenuto proprio con il sogno tricolore sfumato già a novembre. Anche la duplice sconfitta con il Real Madrid, tutt’altro che disonorevole, si è consumata quando Hamsik e compagni sono passati in vantaggio, nel momento in cui hanno avvertito il peso di poter eliminare i giganti Blancos. Il tour de force che attende i partenopei al varco ci permetterà di capire se gli azzurri avranno la forza di competere con squadre d’alto livello (Roma, Manchester City ed Inter tutte d’un fiato) non come outsider, ma da realtà affermata, addirittura favorita in ambito nazionale
Calcio in pillole, rubrica a cura di Umberto Garofalo
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