Il Napoli ci giocò nel ’33-’34. La storia del Collana

Ciccio Marolda sul Cds:

“Chi s’impegna a ridare vita e dignità al “Collana” una cosa non dovrà mai dimenticarla. E cioè, che quello stadio non racconta solo di emozioni e sentimenti d’un pallone tondo oppure ovale, ma custodisce pure un pezzo di storia di una città capace di reagire. Perché là, su quel prato che nelle primavere di tant’anni fa godeva dei colori di albicocchi e di ciliegi in fiore, nel Quarantatré ci passo la tristezza della prigionia e la paura della deportazione nei campi di concentramento. Non fu un caso che una delle scintille delle “Quattro giornate” scoccò proprio lì. Il rilascio immediato di tutti quei ragazzi in partenza per morire chissà dove in cambio d’un lasciapassare, in cambio della vita, insomma: questa fu l’offerta al colonnello Walter Scholl assediato con i suoi nello stadio “Littorio”, già “28 ottobre”. “Ja”, rispose il comandante che era, sì, delle SS ma non era fesso e non passò troppo tempo che il “Littorio” diventò “Stadio della Liberazione”.  Lì ci aveva giocato per una stagione il Napoli. Nel ’33-’34, quando fu sfrattato dal suo “Partenopeo”, bisognoso d’ammodernamenti in vista del Mondiale. Era il Napoli di Cavanna e di Innocenti, di Colombari e di Sallustro e di Antonio Vojak che quell’anno fece 21 gol e spinse il Napoli al terzo posto dietro alla Juventus di Combi, Rosetta e Calligaris e dietro l’Ambrosiana di Meazza e di Levratto. Ma fu nel ’46, mentre, con destinazione Stati Uniti, prendeva il mare la “nave delle spose” con a bordo 417 giovani donne sposate con soldati americani, che il Napoli si trasferì dalla Ferrovia al Vomero. Fu con un colpo di mano, in verità. Così come accadeva quasi dappertutto in quella Napoli che viveva ancora nel caos ma provava a tornare alla normalità, Gigino Scuotto, dirigente astuto, occupò una delle palazzine ai lati dello stadio. Occupò quella di destra perché l’altra, più vicina agli spogliatoi, era occupata dal Comando partigiano. “Conquistata” quella casa, però, fu necessario anche difenderla dagli assalti di altri senzatetto. Come? Con turni di guardia di soci, dirigenti e familiari e sprangando di notte le porte e le finestre. Poi, nel nome d’una comune fede, l’indomito Scuotto convinse i capi partigiani di fare a cambio palazzina, di fatto legittimando quell’occupazione. E così da senzatetto ed abusivo, il Napoli fece di quella palazzina rossa la sua casa, cuore di mille intrighi e qualche soddisfazione. Anni fatti di storie e volti di campioni: Vinicio e Jeppson, Pesaola ed Amadei, Di Costanzo, Romagnoli, Bugatti e tanti, tanti ancora. E con una partita come icona. Napoli-Juve del 20 aprile 1958. Tre a tre e migliaia di “invasori” sul prato a bordo campo. L’arbitro è Lo Bello, Concetto Lo Bello, non sospende la partita ma li tiene a bada con autorevolezza. Poi, a niente dalla fine, segna Bertucco ed è l’apoteosi. “Quello che succede alla fine appartiene alla storia del Napoli e del calcio”, commentò alla radio Nicolò Carosio. Vero, ma appartiene anche alla storia di uno stadio”.  

 

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