Hamsik: “I cori contro il Vesuvio? Ce lo invidiano. Sullo scudetto siamo noi che ci crediamo”

È il capitano, Hamsik,  che quando c’è da piazzare la bandiera sulla collina non dice mai io. «Non mi pesa non aver fatto ancora nessun gol in questa stagione, tanto a segnare ci pensano gli altri… E poi siamo a punteggio pieno: che posso volere di più dalla vita?». La sua è una carriera quasi leggendaria: è a due gol dal record di Maradona (115) ed è a 49 partite dal primato assoluto di presenze nella storia del club detenuto da Bruscolotti (511).

Hamsik, 2007-2017: questa è l’alba dell’undicesima stagione in azzurro. Quali i momenti più belli? «Dieci anni che sono volati. Sono cresciuto qui, in questa società sono arrivato che ero praticamente un ragazzino. I momenti che restano nel cuore e nella testa sono quelli legati ai successi, ai trofei vinti. Quando vinci ti resta dentro per sempre. Quando vinci una Coppa non puoi che essere felice».

È difficile essere una bandiera? «Non è semplice, ma è soprattutto bello: ti conoscono tutti ma quello che più conta è che ti senti amato da tutti. Sono nel cuore dei napoletani, me ne accorgo e la cosa mi rende pieno di gioia».

Le pesa di più il fatto di non aver fatto ancora un gol in queste prime dieci gare della stagione o il fatto di essere spesso sostituito nella ripresa? «La squadra non ha bisogno dei miei gol e questo è un sollievo. Ci sono tre tenori là davanti, abbiamo vinto nove volte su dieci, abbiamo uno dei migliori attacchi d’Europa e quindi questa è la strada giusta che dobbiamo seguire per poter arrivare in alto. Sicuramente mi pesano di più i cambi».

Lo ha detto anche a Sarri? «Certo che glielo ho detto. Ma di uscire non piace a nessuno. Mica solo a me».

È l’anno del duello scudetto tra Napoli e Juventus? «Può essere ma è presto per dirlo. Sono trascorse solo sei giornate ed è questa l’impressione, ma prima di poterne essere certi bisogna attende ancora l’arrivo delle partite difficili e degli scontri diretti. E poi non vorrei che ci scordassimo delle due milanesi: si sono rinforzate non poco, sono partite bene e puntano alla Champions. E magari non solo a quello».

Sono passati dieci anni dal suo debutto nel Napoli ma sembra praticamente quello del primo giorno. È solo un’impressione? «No, è vero. Ho le stesse energie e la stessa voglia di allora, di quando avevo venti anni. E anche lo stesso entusiasmo».

Nel prossimo turno il Napoli torna a Manchester, dove nel settembre del 2011 ha giocato la prima sfida in Champions: lei quella notte c’era. Cosa si ricorda? «I brividi c’erano, ma disputammo una grande partita. Che riuscimmo anche a pareggiare, 1-1, tra tanti consensi, nonostante fossimo molto inesperti. E giocando con buona personalità».

Sei anni dopo in cosa siete cambiati? «Siamo migliorati tanto, abbiamo fatto molti passi in avanti. Sapevo che sarebbe successo, ed è per questo che sono rimasto. Perché quel progetto è cresciuto anno dopo anno e io non avevo dubbi che saremmo arrivati così in alto. Tanto in alto da poter andare a giocare in casa del Manchester City senza avere nessuna paura».

Cosa è Napoli per lei? «È la mia vita, ormai. Non riesco a trovare il momento esatto in cui è scoccata la scintilla d’amore per questa città, arrivare al decimo anno sempre nella stessa squadra non è facile. Ma non ho mai ritenuto necessario cambiare, non ne ho mai avvertito la necessità. Perché qui sto bene».

Al record di Maradona ci pensa? «Non tanto. Diego qui è un dio. E solo l’idea di stare davanti a lui in una classifica regala una bella sensazione».

Di questa Juve che non dà spettacolo ma vince sempre cosa la colpisce?
«È una macchina da guerra che sbaglia veramente poco. La sua forza è questa».
Esiste l’amicizia del mondo del calcio? «Sì, è difficile poter vincere con un gruppo se non si è anche amici».
I cori razzisti che inneggiano all’eruzione del Vesuvio le danno fastidio? «Tanto. Ma secondo me è perché ce lo invidiano… Mica sono tanti i vulcani in Europa…(ride, ndr)».
Le dico un altro posto: Banska Bystrica. «Lì andrò a passare la mia vecchiaia, nel posto dove sono cresciuto e dove i miei genitori mi hanno messo in testa che potevo arrivare fino a dove sono arrivato. Mio padre e mia madre hanno fatto tanti sacrifici per riuscire a farmi coronare il mio sogno. Un sogno che poi è diventato anche il loro».
I principali pregi calcistici che rendono unico Hamsik?
«Primo tocco, inserimento e visione di gioco».
Non male. Nel suo ruolo chi sono quelli più bravi?
«Come mezz’ala, il più forte di tutti è Iniesta. Resto per ore ad ammirare i suoi gesti, a studiare i suoi movimenti».
C’è un tecnico da cui le sarebbe piaciuto essere allenato? «Sì, Guardiola. Lo incontro in Champions, da avversario. Non vedo l’ora».
Dei tanti compagni che ha conosciuto nel Napoli, a chi è rimasto particolarmente legato? «Uno su tutti: Gargano. Che poi è entrato anche a far parte della mia famiglia perché ha sposato mia sorella».
Chiuda gli occhi: le piacerebbe in Champions una bella rivincita contro il Real Madrid?
«Sì, molto. Ma possibilmente in semifinale o in finale. Mica anche quest’anno dobbiamo incontrarli agli ottavi di finale?».
Dunque, l’obiettivo è lo scudetto. La parola non è più un tabù? «Ci stiamo provando. E si vede. Ma la strada è difficile e lunga. Arriveranno momenti complicati e dovremo essere bravi a superarli».

Cosa l’ha colpita in quel primo incontro? «L’ambizione. Allora come ancora adesso lui vuol fare sempre tante cose. Parla sempre di migliorare e di vincere».

Vincere lo scudetto. Ve lo ha chiesto? «Non ce lo ha chiesto lui. Siamo noi convinti di poterci riuscire. Sappiamo che questa è la stagione giusta per poter vincere qualcosa di molto importante. Ci stiamo provando, il nostro inizio di campionato è la dimostrazione che siamo molto determinati».

Le piace il Var? «Non lo so. Aiuta gli arbitri, certo, ma poi qualcosa toglie: non sai mai se puoi festeggiare il gol perché magari te lo tolgono dopo qualche minuto. Ma sicuramente in qualche circostanza potrebbe dare una mano. Per esempio all’arbitro di martedì in Champions: avesse avuto il Var quel rigore al Feyenoord non l’avrebbe mai dato».

Le faccio un nome: Raiola.
«È un grande manager. Ha tre quarti delle stelle europee…».

Qualcuna non è riuscita ad averla. Forse per questo non fa che parlare di lei: gli sarà rimasto in gola il fatto di non averla mai convinta a lasciare il Napoli? «Non penso che sia così. Ognuno va per la sua strada: lui è un grande professionista come lo sono io. Non mi dà fastidio che parli di me».

Rimpianti per non essere andato al Milan o alla Juve? «Mai, nessuno. Altrimenti non sarei rimasto».

Se dico Pinetamare?
«È la mia casa, è il mio mondo ed è l’altra parte della mia vita. Vivo lì per scelta: all’inizio cercavo un posto vicino al campo di allenamento ma poi ogni cosa mi ha legato a quel posto. Ho tanti amici, cresco i miei bambini e partecipo anche alle cose che si fanno lì. Ed è giusto dare un contributo, perché quello è il posto del mio cuore».

Si guardi allo specchio: a fine carriera cosa pensa di fare? «Non lo so, ho appena 30 anni. Forse l’allenatore o anche il dirigente. Ma magari proprio all’inizio, quando smetterò di giocare, non vorrei fare proprio nulla, staccare per un po’ e dedicarmi alla mia famiglia».

Si aspettava la metamorfosi di Mertens?
«Anche da esterno era bravo, anche lì ha sempre segnato tanto. Ha sorpreso da prima punta anche per la continuità con cui riesce a fare gol, ormai è una prima punta vera, fissa. Va bene per lui ma anche per noi».

Quali sono i giocatori stranieri più bravi che giocano in Italia?
«Quelli del Napoli, che dubbio c’è? Anche quelli giovani sono destinati ad avere una grande carriera».

Cosa avete in più rispetto all’anno scorso che vi dà così tante certezze?
«Sicuramente è il modo con cui abbiamo concluso la passata stagione a darci una forza diversa, un convincimento che magari prima non c’era. Poi vincere sei partite su sei è qualcosa di straordinario. Anche per il modo in cui ci siamo riusciti, vincendo su campi non facili».

Domani c’è il Cagliari: sulla carta non proprio l’Everest? «Non esistono nel campionato italiano partite semplici. C’è sempre una insidia e bisogna sempre affrontare ogni avversario pensando di dare il massimo”.

Delle 113 reti realizzate con la maglia azzurra, quale ricorda con più affetto? «Sicuramente la prima in serie A, alla Sampdoria, al San Paolo. Poi c’è quella nella finale di Coppa Italia con la Juventus».

E secondo lei, la più bella? «Forse quella al Milan nel 2008, quando feci tutto il campo palla al piede e poi calciai dal limite».

Degli allenatori che ha avuto a Napoli, chi le ha insegnato di più? «Ognuno mi ha dato qualcosa nella visione che ho adesso del calcio. Ma quello che mi ha dato Sarri non mi ha dato nessuno».

In cosa gli è grato in maniera particolare? «Ha una mentalità vincente e ce l’ha trasmessa. Ora abbiamo un gioco unico, siamo sempre padroni delle partite, non c’è una gara in cui non siamo noi a dettare il ritmo. Prima lo subivamo, lo facevano gli altri: comandare in campo è una bella sensazione».

Dà l’impressione di non arrabbiarsi mai. È così? «È vero, mi arrabbio poco. Tranne quando vengo sostituito… (ride di gusto, ndr)».

Non si è arrabbiato neppure a Kiev quando Benitez la mise in panchina? «Mi ha pesato tanto quell’esclusione, ma mi ha pesato molto di più non arrivare in finale di Europa League. Ma non dissi nulla. Non era il caso…».

Dice Sarri che preferirebbe relegare le nazionali a giugno, quando i campionati sono finiti. Che ne pensa?
«E quando riposiamo?! (giù un’altra bella risata, ndr). Il calendario già così è complicato, tosto, impegnativo. Poi per molti di noi è un piacere indossare la maglia della propria nazionale e poter rappresentare la propria nazione. Soprattutto per chi gioca all’estero».

A proposito, è atteso da due gare di qualificazione per la Russia decisive con Scozia e Malta?
«Ci giochiamo tutto nello scontro diretto di Glasgow, ma sapevamo che sarebbe andata così perché nel girone l’Inghilterra era nettamente la favorita e noi non potevamo far altro che puntare allo spareggio. Speriamo di arrivarci e poi di riuscire a conquistare il pass per la Russia: per una generazione di calciatori slovacchi, il Mondiale può segnare la fine di un ciclo».

Quando ha incontrato per la prima volta De Laurentiis si aspettava che in così poco tempo il Napoli sarebbe ritornato tre le big d’Europa? «Sì. Era chiaro da come si stava muovendo. Ha comprato il Napoli che aveva solo debiti e lo ha portato in serie A quasi subito. Se vediamo la velocità”.

La Redazione

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