Nel cuore dell’area. Abbiamo ancora negli occhi il capolavoro di Mertens contro la Lazio, quella parabola disegnata nel cielo dell’Olimpico che ci ha portato indietro nel tempo, all’era di Diego, più veloce della DeLorean di Doc. Una giocata di classe pura, che merita una categoria a parte ma che, per la statistica, dobbiamo considerare una conclusione da fuori area come le altre, guardando solo al punto da dove il belga ha punito Strakosha. Pur avendo eccellenti tiratori, dalla distanza il Napoli aveva colpito solo un’altra volta, con Zielinski, trovando il pari prima di ribaltare l’Atalanta. Tolti i tre rigori, tutte le altre conclusioni sono state scoccate dall’interno dell’area di rigore.
E c’è un’immagine molto efficace che rende bene l’idea di quanto la squadra di Sarri sappia attaccare gli ultimi cinque metri: almeno sette reti sono arrivate a ridosso dell’area piccola, il regno del portiere, ed è lì che è maturata anche l’autorete di Souprayen, indotto in errore certamente anche dalla pressione degli azzurri. Lì si segnano i gol da autentici sbarazzini dell’area di rigore, da centravanti di razza, vecchia maniera. Solo che il Napoli lì ci arriva con un tridente atipico, leggero, imprevedibile con quei tagli che aprono varchi anche per gli inserimenti dei centrocampisti.
Palla inattiva. A parte i tre rigori trasformati, il Napoli finora non ha segnato direttamente su calcio di punizione. Dagli sviluppi dei corner sono nati invece tre gol: quello nella porta sbagliata di Souprayen, la meraviglia di Zielinski con l’Atalanta (gran destro sulla spizzata della difesa) e quello di Koulibaly con la Lazio. Con un attacco così, difficile salvarsi anche in calcio d’angolo…