L’editoriale di Maurizio de Giovanni sul Corriere dello Sport:
“Il Maestro, chi lo conosce lo sa, non molla mai. E’ per questo che davanti alle telecamere ha sempre l’aria un po’ seccata: perché i microfoni vogliono sapere quello che è successo, e per il Maestro conta solo quello che deve ancora succedere. E’ tutta una perdita di tempo. Per cui la mattina dopo all’alba (la Lazio? Che cos’è, la Lazio?) ha il telecomando in mano, stop e vai, stop e vai, e si guarda le partite della SPAL, la Grande Avversaria, quella da battere, l’incontro più importante di tutti perché è il prossimo, e il prossimo è l’ultimo prima della fine del mondo. Sigarette, e va bene, ma fogli e fogli e una penna con la carica nuova; tanti argomenti da trovare e definire e approfondire, per poi relazionare alla sua classe in aula, come ogni coscienzioso Maestro fa, perché la Bellezza è difficile da costruire ma necessaria. Come ben diceva ieri il direttore su questo tema e su queste pagine, il Maestro ha ricevuto il testimone di un’ideale staffetta cominciata all’alba degli anni Novanta, quando un certo Arrigo decise di inventare qualcosa di nuovo sulla base di un semplice, lapidario assunto: un fattore necessario, anche se insufficiente, alla vittoria è il gioco. L’unico che si può preventivare, costruire, assemblare; il resto è imponderabile, quindi inutile pensarci. Per molti anni dopo Arrigo si è pensato ad altro e ad altro ci si è affidati, e non a caso le vittorie internazionali sono diminuite, sono diminuiti i soldi e i campioni abitano ormai altrove. Ora però c’è il Maestro, e lui che tutto sembra tranne che uno attento all’estetica è diventato il gran sacerdote della Bellezza. Ovattato dalla distanza dalla città, protetto dalle cancellate di Castel Volturno poco amichevoli e per nulla accoglienti, nel deserto di una talebana assenza di tentazioni e divertimenti, il Maestro ha voluto i suoi allievi e ne ha preteso la sostanziale conservazione, salvo chi naturalmente e legittimamente voleva andar via, per più soldi o più minuti in campo: ma sono stati assai pochi, alla fin fine, perché sono ragazzi intelligenti e sanno che questo è uno sport di squadra, e absit injuria verbis non è affatto detto che questi operosi e diligenti carpentieri talentuosi avrebbero ugualmente scintillato altrove sotto un altro capomastro, così come oggi illuminano gli occhi degli abbonati satellitari nelle coreografie dal Maestro ideate.
Nessun Van Basten, nessun Baresi e nessun Gullit, è vero: ma ognuno sa esattamente cosa fare in ogni circostanza, com’è scritto nelle stelle e nei taccuini del Maestro. Il che non vuol dire ovviamente ingabbiare alcuna creatività, anzi significa mettere tutti in condizione di immaginare nuove figure e metterle in pratica. Il miglior Insigne, insomma, nasce e fiorisce col miglior Callejon; gli assist dell’uno sono perfettamente compatibili coi tagli dell’altro. E tanto vale per le geometrie naturali di Jorginho, per gli inserimenti di Hamsik, per la pertinacia di Allan e Rog, per l’applicazione di Albiol e lo strapotere fisico di Koulibaly: ognuno è se stesso, ma ognuno è il supporto degli altri. La creazione di Mertens è però il capolavoro del Maestro. La creazione, sì, perché tutti incluso il folletto belga si attenevano allo stereotipo del dribblomane veloce e creativo di bassa statura e lo collocavano sulla fascia a piede invertito, va be’, non marca ma sta bene là. E invece sotto quella maglietta di piccola taglia batteva il cuore di un immenso centravanti, e siamo certi che qualcuno, che quel ruolo ricopriva, oggi dalle parti di Torino si chiede, ad onta dello scudetto, del primato e delle prospettive, se non era perlomeno più divertente restare dalle parti del Maestro e capitalizzare la montagna di palle gol che la coreografia gli metteva a disposizione. E mentre noi discutiamo, il Maestro guarda la SPAL in televisione e si pone il problema di come fronteggiare questo difficile avversario, nella partita della vita. Per poi cominciare, al triplice fischio, a pensare a quella corazzata che è il Feyenoord, per poi porsi l’enorme problema del pericoloso Cagliari al San Paolo. Perché con gli avversari non si scherza. Perché la bellezza è una cosa assai seria.
Fonte: CdS