Sono ottimista, credo che al Mondiale andremo comunque. Può darsi da subito. Ma ricordiamoci che il coraggio vale sempre più della paura».
Sacchi, ma davvero Spagna-Italia è una sfida di due filosofie che non si incontreranno mai? «Spero di no. Oggi anche da noi molti tecnici pensano che il calcio sia più di un fenomeno sportivo: è bellezza,spettacolo, emozione, arte. Metafora della vita. Sa replicare pregi e limiti della società che rappresenta».
E la nostra com’è? «Noi non abbiamo mai definito il calcio. Lo pratichiamo come 2000 anni fa, in stadi simili a quelli degli antichi romani dove, non a caso, si urla “devi morire”. Abbiamo sviluppato agonismo e determinazione feroci che hanno compensato storicamente le nostre lacune. Altrove vincere senza merito non è vincere. La Spagna persegue sempre la perfezione: che essendo irraggiungibile obbligaadidattica e miglioramento continui».
Ma fino all’altro ieri vincevamo noi… «Perché c’era poca differenza e il nostro carattere prevaleva. Loro erano sulla strada giusta, ma inseguivano lo spettacolo individuale. Il salto di qualità dopo che il mio Milan ha dato una lezione totale al Real Madrid: quel giorno hanno capito che il calcio non si interpreta individualmente».
Così sono diventati la nuova Spagna? «A poco a poco. Sono arrivati RijkaardeGuardiola al Barça, hanno giocato come collettivo sia in fase di possesso sia di non possesso. La tecnica l’avevano, hanno imparato il pressing occultando i limiti difensivi. E comunque:rischiano di più. Da noi chi avrebbe fatto giocare Carvajal di 1,70 contro Mandzukic come a Cardiff? Ma per chi pensa che sia uno sport di squadra non è un problema»
. A Madrid dubbio tra difesa a 3 o a 4. «In ogni caso se fosse a 3 sarebbe a 5. Loro hanno due centrali e 2 terziniali. Noi 3 centrali e 2 terzini mediani. E se hai tre dietro, siccome i miracoli li fa solo il Signore, hai un giocatore in meno in mezzo. Il sistema diventa un 523 che può mettere in difficoltà il centrocampo, se non siamo bravi a scalare».
Consiglierebbe la difes a a 4? «Non dico questo: l’Olanda ha giocato a 3, ma era sistema puro. Io avevo BaresiCostacurta in mezzo e BenarrivoMussi, offensivi, sulle fasce. Nel Milan, Colombo ed Evani attaccavano, Tassotti e Maldini parevano ali. Ventura è senza esterni sinistri».
Cosa fare allora? «Il metodo migliore è quello che una squadra ha interiorizzato e interpreta in automatico. Ma oggi c’è meno tempo e non esistono più blocchi cui affidarsi, causa stranieri. Se cambi sistema sempre, finisci col puntare sulle individualità. Ventura sta facendo un ottimo lavoro in una situazione complicata. Con quello che ha. Se la nostra caratteristica è difesa, coperti e contropiede, è normale che vi ricorra. Con una tattica prudente avrà il sostegno di tutti, pur sapendo che se perde saranno guai».
In realtà Ventura punta sul 4-2-4: solo che la Spagna sembra soffrire contro di noi questa difesa più… folta. «Ho sempre seguito Ventura, mi entusiasmava il suo Bari: un 4 24 che diventava 442, perché il calcio è movimento, con giocatori normali. Eppure era spettacolare. È bello quando un tecnico cerca uno stile come in Spagna: lo fa Sarri, ci hanno provato Sousa a Firenze,Di Francesco col Sassuolo, Giampaolo alla Samp. Altri si stanno avvicinando. Lo fa a modo suo Gasperini, cercando superiorità con un pressing spesso ultra offensivo. Cambiare non significa migliorare, ma per migliorare devi cambiare. Sa, Alì diceva una cosa terribile ma vera…»
. Quale? «Se a 50 anni pensi come a 20 ne hai buttati via 30». Conte però l’anno scorso li ha sconfitti e nettamente. «Anche la Juve due anni fa vinse così con il Real: se loro non sono altop, fai una difesa forte e colpisci. Ora si dice transizione, prima era ripartenza, ma sempre contropiede è».
Donadoni (2008) e Ventura (all’andata) hanno concesso troppo a una Spagna che ci temeva? «Mi piacciono le squadre che tentano d’imporsi: hanno presunzione o conoscenza dei mezzi. Le grandi sono ricordate perché comandavano. Come il mio Milan. Ventura è molto bravo ma purtroppo raccoglie il sistema imperante: se c’è una gara dura, non confidi nella forza ma pensi a coprirti».
Mancare al Mondiale sarebbe un piccolo dramma sportivo. «Noi siamo strani: abbiamo vinto 2 Mondiali senza mai pensare di essere superiori. Come dicev a Churchill, giochiamo le partite come fossero guerre e perdiamo le guerre come fossero partite. Però stiamo crescendo. Ai miei tempi la Cremonese veniva a San Siro e si chiudeva. Invece il Sassuolo di Di Francesco e l’Empoli di Sarri avevano possesso palla. Il calcio si gioca con la mente più che con i piedi. Il Napoli fa cose contro la storia».
Nel senso che? «Va a Nizza dopo il 20 dell’andata e attacca 90’: pensi se fosse caduto in contropiede cosa avrebbero detto! Ma ha osato. Ha alzato il livello culturale: oggi a Napoli applaudono il 3° posto, stanno con le grandi con un terzo del bilancio. Sarri sta dando uno stile a un calcio, quello italiano, che non ha stile riconoscibile».
Però quell’Insigne... «Il Barcellona non mi sembra all’altezza del Real: perso Neymar, Insigne sarebbe stato perfetto. Il più grande talento italiano degli ultimi 10 anni, ha intuizioni geniali. Deve solo evitare di fare il “furbetto” ogni tanto».
Cioè? «Quando non ha voglia di correre. Quando Mertens e Hamsik bloccano i centrocampisti che hanno sbocco solo nel terzino destro e lui guarda indietro, fa chiusure preventive, invece ditentare di portar via il pallone. È un peccato, perché tatticamente è proprio bravo».
Come finisce a Madrid? «Storicamente abbiamo una cultura corporativa e con le grandi ci esaltiamo. La Spagna soffrirà molto, noi facciamo faticare tutti, siamo il pugile che nessuno vuole sul ring. E spero che Ventura dia all’Italia uno stile come quello dato al Bari».
Fonte: Gazzetta