E’ una scelta di vita per fronteggiare il potere economico costituito, per opporsi alla concorrenza più autorevole, per sfuggire alle multinazionali: il Napoli ci mette la testa (Lavezzi ceduto per una trentina di milioni di euro; e poi Cavani pagato 17 milioni in quattro anni e però rivenduto, dopo tre, per 64 milioni), poi la cultura – ingigantita dall’avvento di Benitez che con Bigon rivolta la squadra: mica soltanto Reina, Albiol, Callejon, Mertens ed Higuain; ma anche Koulibaly, Jorginho e Ghoulam, all’epoca poco più che «bambini» – e quella perseveranza di De Laurentiis di inseguire sempre l’energia alternativa, puntando poi, quando finisce quel ciclo, su Sarri e su Giuntoli, lasciando che fosse il proprio intuito (su Hysaj) combinato con le competenze del tandem allenatore-ds e individuare la miscela giusta: L’addio di Higuain sa di lutto (sportivo) cittadino, mentre invece proprio dietro al certificato di separazione del pipita sono già pronti i passaporti d’una serie di talenti (persino esagerati) da aspettare fiduciosamente e che, ma guarda un po’, con l’Atalanta illuminano una notte buia. Sono i soldi incassati dalla partenza di Higuain, un centinaio di milioni di euro, spiccioli più o spiccioli meno, per garantirsi piedi buoni e cervello fine, per starsene beatamente adagiati tra la meglio gioventù.
Corriere dello Sport