Accadrà: e in quel momento, presto o tardi che sia, sarà come riscrivere la storia (statistica) di novant’anni, spostando dal trono l’unico (autentico) Re e disponendo, nell’asse ereditario, che almeno per ora il Principe azzurro, sia prossimo alla investitura, Marek Hamsik.E in quel primato, ma anche nell’incoronazione, si ritroveranno i suoi dieci anni, le sue scelte di vita, la sua fedeltà assoluta, quello stile che l’ha elevato a idolo familiare.
Centrotredici gol, gliene mancano soltanto due.
Hamsik, per sempre, almeno fino a quando non emergerà un concorrente plausibile che possa avvicinarlo, provando a strappargli ciò sta per diventare suo: il più grande goleador di sempre d’un club nel quale ormai è il leader, il simbolo, il totem, l’espressione alta di un autorevole interprete che si può liberamente definire bandiera.
Hamsik è un cannibale che per tre anni (i suoi primi tre) è persino divenuto il capocannoniere, che otto volte su dieci è andato in doppia cifra, che dieci volte su dieci ha avuto partenze lanciatissime nelle quali ha concentrato il meglio di sé, tra campionato e coppe varie.
C’è una carriera (partenopea) che fa da punto di riferimento, da ispirazione aritmetica, e che evoca un punto chiaro all’orizzonte: aspettatevi che succeda in fretta, un paio di partite o al massimo quattro, perché ad Hamsik piace lanciarsi subito.«Sarò contento di batterlo, è chiaro, ma è altrettanto chiaro che lui resterà Maradona. Però sarà una gran gioia». Gli serviranno spiccioli di calcio – nel 2012 ne fece due in centottanta minuti, nel 2013 cominciò con una doppietta – ed in genere gli sono sufficienti quattro domeniche per scatenare la sua vena realizzativa, perché sotto sotto Hamsik è un attaccante (e lo dicono i numeri).
Corriere dello Sport