Quando le critiche erano per lui. Ha fissato il record dei trasferimenti nel 1975 spendendo 2 miliardi di lire per Savoldi, lo riscrisse nel 1984, quando stupì il mondo spendendone 13 per portare a Napoli Maradona.
«Avevo comprato pure Paolo Rossi, all’ultimo istante non è più voluto venire».
Corrado Ferlaino è l’uomo che con quei colpi ha scandalizzato l’Italia, icona del presidente pronto a tutto sul mercato. Un mercato che pare impazzito, ma già trent’anni fa si rese necessario l’intervento del Banco di Napoli per comprare l’argentino. Oggi a guidare la classifica degli investimenti shock è il Milan, capace di superare quota 200 milioni di spese.
Presidente Ferlaino, fa bene la coppia Fassone-Mirabelli a spendere, o nel merito ha ragione Pallotta? «Quello che fa il Milan non sono problemi di Pallotta. Ognuno deve farsi gli affari suoi e fare quello che vuole a casa sua. Le interferenze non mi piacciono. Se hanno speso tanto hanno visto margine per farlo».
Lo spendaccione Ferlaino è dalla parte degli spendaccioni del Milan? «Non voglio entrare nel merito dicendo se i rossoneri hanno fatto bene o male, ma non sono così spendaccioni. Anche se c’è qualcuno a Milano che sostiene abbiano trattato anche Ronaldo, io non ci credo. Il fatto è che oggi con le tv e gli incassi in ambito internazionale certe spese sono sostenibili. I presidenti che hanno coraggio possono essere premiati da investimenti che garantiscono ricavi commerciali. Semmai, cambiare tanti giocatori non fa bene a costruire una squadra. Come dissero a Massimino, manca l’amalgama».
Lei è per la logica del chi più spende meno spende. Vale anche per i 222 milioni del Psg per Neymar? «Certe squadre incassano anche 600 milioni l’anno, magari con un Neymar ne possono incassare 800. Ma con questi prezzi mi chiedo quanto mi sarebbe costato oggi comprare Maradona. Certo è un altro calcio, un altro mondo. Anche se forse meno romantico, e anche meno sportivo».
Colpa dell’assenza dei presidenti-tifosi? «L’ultimo è stato Berlusconi, che ci metteva i soldi di tasca sua. Invece questi fondi cinesi non mi piacciono: vi ricordate la figuraccia che fece lo scorso anno l’Inter in Israele? I calciatori sono autorizzati a giocare male, perché non c’è un proprietario presente che li punisca, uno che dopo una partita così mandi tutti in ritiro. Non capiscono, queste proprietà lontane, che serve stare vicino alla squadra: il vecchio patron lo faceva, perché ci metteva i soldi suoi e voleva difendere il capitale».
Da come parla, sembra mancarle il calcio. Come si comporterebbe oggi, come il Milan che compra o come la Roma che prima vende e poi si muove? «Se avessi una squadra di calcio, in questo momento la prima cosa che mi verrebbe in mente di fare sarebbe venderla. Subito. Non mi manca il calcio, non quello vissuto da dentro. È più bello fare il tifoso che il dirigente».
Invece un rimpianto? Diceva che non riuscì a comprare Paolo Rossi, come andò davvero? «Ero a Capri in vacanza insieme a Gino Palumbo, direttore della Gazzetta, quando ricevetti una telefonata dal presidente del Vicenza, Farina. Mi proponeva il calciatore, io scattai subito: trattammo due giorni e chiudemmo l’operazione. Ma poi intervenne qualcuno, forse la Juventus, non ne sono certo. E a quel punto il giocatore si rifiutò di venire. Di certo, poco dopo andò a giocare con i bianconeri…».
Fonte: Repubblica