Luciano Moggi, personaggio tra i più influenti e chiacchierati della storia del calcio italiano, compie oggi ottant’anni: di solito a quest’età si iniziano a tirare le somme. «Il calcio mi ha dato tanto e tolto qualcosa, tutto sommato ha rappresentato la mia vita. Mi sono divertito perché ho fatto quello che da piccolo sognavo di fare».
Voleva comandare nel calcio?
«Volevo lavorare in una grande società e contare qualcosa».
Come si diventa il dirigente italiano più potente per vent’anni?
«Con tanta gavetta. Soprattutto quando facevo l’osservatore. Si diventa bravi, non si nasce, nel calcio funziona così: io ho svolto qualsiasi ruolo, tranne quello di magazziniere».
Chi è stato il suo maestro?
«Italo Allodi. Unico, inimitabile. Mi ha insegnato come si gestiscono un club e lo spogliatoio. Quando era alla Juventus, tra quindici osservatori ne scartò quattordici e prese me. Un punto di riferimento assoluto».
Lazio, Roma ma soprattutto Napoli e Juventus le tappe di una carriera dietro la scrivania durata quasi mezzo secolo: la vittoria più bella?
«In bianconero ho vinto tutto quello che c’era da vincere, lo scudetto con il Napoli però lo metto in testa ai ricordi».
Eppure non erano solo rose e fiori con Maradona.
«Fin quando andava in campo, sopportavo certi suoi comportamenti. Quando poi crollò tutto, feci la voce grossa, non avevo altra scelta: dovevo comportarmi da dirigente per ottenere il rispetto della squadra».
Si riferisce alla trasferta di Mosca in coppa Campioni?
«Esatto. Ormai si andava verso un epilogo ben definito, radunai tutti e dissi che in primavera sarei andato via. Infatti presentai le dimissioni».
Si disse: incompatibilità con Ferlaino. Non era vero?
«Ferlaino è stato il miglior presidente con il quale abbia mai lavorato. Capiva di calcio e sapeva muoversi come pochi all’interno del Palazzo».
Con Diego, invece, il rapporto non era esaltante.
«No,io volevo che si allenasse. Poi ci siamo chiariti».
È stato il re indiscusso del mercato.
«Ho fatto una buona carriera facendo tesoro della gavetta durata quindici anni».
Arrivò a Napoli dopo la conquista del primo scudetto.
«Ma anche in quell’anno detti le giuste dritte a Ferlaino. Aveva bisogno di un regista e gli consigliai di andare a prendere Ciccio Romano in serie B».
Il grande capolavoro di Moggi?
«Zola. Lo acquistai in C dalla Torres per 280 milioni e doveva prendere il posto di Maradona».
E poi Zidane, giusto?
«Zizou c’era il Milan, arrivai prima io. Cinque miliardi al Bordeaux, i rossoneri ripiegarono su Dugarry spendendo diciotto miliardi: per questo motivo Berlusconi non ha mai smesso di prendere in giro Galliani».
Le avranno pure rifilato qualche pacco.
«Esnaider mi deluse: sapevo che non era un fenomeno ma speravo che potesse offrire qualche alternativa tattica alla squadra».
La trattativa più divertente?
«Alla Juventus volevo Ibrahimovic ed Emerson. Invitai entrambi a Nizza in occasione di una festa di Formula uno: mi misi a trattare solo Emerson e Ibra si ingelosì. Disse a Raiola: convinci Moggi a prendere anche me dopo Emerson».
È stato il re delle bugie.
«Vanno raccontate per depistare i giornalisti, durante il mercato funziona così. Quando poi cambiai atteggiamento raccontando qualche verità, nessuno mi credeva».
La bugia più esilarante?
«Due: Alemao e Crippa. Detti appuntamento ai giornalisti all’ora di cena per non farmi seguire: loro mi aspettavano in hotel e io raggiunsi Madrid con un volo privato. Tornando con il contratto di Alemao, dichiarai che il mercato del Napoli era finito. De Finis, il presidente del Torino, giurò che mai avrebbe ceduto un suo giocatore a Moggi. Ma aveva bisogno di soldi e il giorno dopo presi pure Crippa».
Chi le piace tra i dirigenti di oggi?
«Sabatini è un abile osservatore, ma non un perfetto gestore di squadra e di club. Mirabelli del Milan non mi dispiace, con Fassone forma una bella coppia».
Gli ultimi dieci anni sono stati i peggiori.
«La radiazione mi ha messo tristezza: su Calciopoli la giustizia sportiva e quella penale sono arrivate a conclusioni diametralmente opposte».
È un’invenzione che lei telefonava ai designatori?
«Telefonavo perché si poteva fare e lo facevano tutti. Il vero problema è che i pm hanno evidenziato solo il comportamento della Juventus e non quello dell’Inter, molto più influente del nostro».
E gli arbitri amici che gravitavano nell’orbita Moggi?
«Chi? De Santis? Te lo raccomando. Uno che arbitra la Juve cinque volte con tre sconfitte è un amico?»
Ma perché sequestrò Paparesta a Reggio Calabria?
«È una barzelletta. Minacciai di lasciarlo nello spogliatoio e di gettare la chiave, mica lo chiusi dentro. Niente in confronto a Lucchesi che spaccò un piatto in faccia a Dondarini». va prendere il posto di Maradona».
Chi le piace tra i dirigenti di oggi?
«Sabatini è un abile osservatore, ma non un perfetto gestore di squadra e di club. Mirabelli del Milan non mi dispiace, con Fassone forma una bella coppia».
Gli ultimi dieci anni sono stati i peggiori.
«La radiazione mi ha messo tristezza: su Calciopoli la giustizia sportiva e quella penale sono arrivate a conclusioni diametralmente opposte».
Sarà l’anno degli azzurri?
«Sì, se Sarri s’inventa qualche alternativa tattica e se non lascia punti alle piccole: è contro di loro che si vincono gli scudetti».
Fonte: Il Mattino