È un sottobosco. Anzi, peggio: è una palude. E spesso i calciatori del Napoli ci cascano con le scarpette, i tacchetti e tutto il resto. Vedi alla voce amici dei giocatori, spesso vero e proprio sinonimo di guai. Reina, Callejon, Paolo
Cannavaro, lo stesso Higuain, sono per i fratelli Esposito, gli imprenditori di Posillipo finiti in manette nell’ambito di un’inchiesta della Dia di Napoli, i campioni da esibire come trofei sulle bacheche di Facebook, i loro quaderni quotidiani. È dai loro profili che gli inquirenti napoletani capiscono che i fratelli Esposito sono in partenza per Ibiza. Dove, guarda caso, c’è proprio Reina. In compagnia di Tonelli. Forse coincidenza. O forse no.
«Fratmo José», scrive sul suo profilo Gabriele Esposito. Vuole mostrare a tutti che Callejon, il grande esterno azzurro, uno dei protagonisti del Napoli, festeggia con lui (e con Reina) il suo compleanno. Premessa: non c’è una sola fattispecie di reato commessa dai giocatori azzurri in questa frequentazione. Perché l’ingenuità, il non capire chi fossero davvero questi amici disposti a tutto per renderli felici, sempre a disposizione per ogni esigenza, non hanno valenza per il codice penale. Nessun calciatore risulta indagato, nonostante siano centinaia le intercettazioni tra i giocatori e gli arrestati di ieri da parte della Dia. D’altronde, di relazioni pericolose tra gloria sportiva e malavita è piena la storia del calcio, e neppure una divinità calcistica come Diego Maradona ha saputo sfuggire alla regola.
E allora di che stupirsi? Callejon festeggia i suoi 30 anni con gli Esposito, Reina passa molto del suo tempo libero, anche di giorno e non solo a cena o nei locali, a spasso con i fratelli, se c’è qualcuno del Napoli che ha bisogno di noleggiare una barca c’è sempre uno di loro che risolve la questione. Pepe, per esempio, si rivolge a uno degli Esposito persino per il trasloco in Germania, quando va a Monaco di Baviera nel 2014. È un rapporto quotidiano, dicono le carte, ma non c’è nulla, proprio nulla, che costituisce reato. Probabilmente, i giocatori ignorano del tutto gli affari loschi in cui, secondo gli investigatori partenopei, sono coinvolti gli arrestati.
Sempre Gabriele scrive quasi commosso: «Grazie a Paolo (Cannavaro, ndr) ho conosciuto te grande uomo oggi mio amico fraterno e forse anche di più. Non so che sia ma è un bene immenso». È una camorra che i magistrati definiscono di secondo livello, quella che frequentano i campioni azzurri. Ma che i calciatori, presumibilmente, ignorano sia camorra: perché non spaccia, non fa estorsioni, non fa minacce. Ha il volto pulito di una nuova classe imprenditoriale. Si fanno fotografare anche mentre abbracciano Maradona, durante la sua breve permanenza a Napoli a gennaio. Perché hanno il Napoli nel cuore.
La venuta di Sarri cambia le cose, secondo le voci di corridoio raccolte in Procura e le indiscrezioni che arrivano dalla Direzione distrettuale antimafia: Sarri, che è nato a Bagnoli ma che a Napoli non ha mai vissuto, con il sostegno della società, va a cercare i suoi calciatori, li porta in ritiro, inizia a regimentare le loro abitudini, intuendo che in giro le tentazioni sono tante. Troppe. E pericolose. Da vero padre di famiglia, capisce la situazione e ogni volta che può, nel chiuso dello spogliatoio, prova a dare ai suoi ragazzi delle regole di vita. Attenzione, ripete più o meno, questa è una città dove tutto sembra bello ma è tutto pieno di tentacoli e prima o poi ne chiede conto.
D’altronde, anche Aurelio De Laurentiis lo aveva detto. Era la notte dell’8 aprile del 2015 e il Napoli era stato appena eliminato dalla Lazio in Coppa Italia. Esplose deluso. «Questa è una città rapace, anche io a 25 anni facevo delle cose che adesso non farei più. Ma ho sempre tenuto fede ai miei impegni…». E ordinò alla squadra di andare in ritiro. Probabilmente ce l’aveva con Higuain e con le sue frequentazioni. Ma forse anche con altri.
Certamente, invece, ce l’aveva con Pepe Reina quando poche settimane fa, durante la cena di fine stagione a Villa D’Angelo-Santa Caterina, invitò il portiere ad «avere meno distrazioni durante la settimana». Parole pronunciate al cospetto della moglie Yolanda, madre dei suoi 5 figli. Inevitabile il putiferio che si è scatenato subito dopo. Il Napoli non ha commentato la vicenda.
I fratelli Esposito sono solo l’ultimo articolo di un ricchissimo catalogo che nella storia del calcio napoletano ha riempito pagine, salotti, aule di tribunale. Gabriele e gli altri entrano, indisturbati, nelle famiglie dei calciatori. Sanno bene che essere loro amici dà diritto a una serie di privilegi e l’accesso a un gran numero di misteri. È il passaporto per un territorio magico e metafisico, un viaggio dentro una realtà parallela. Molti vorrebbero, qualcuno ci prova, pochissimi ci riescono. Gabriele non nasconde il suo entusiasmo di essere al fianco del suo beniamino. In prima linea. Svela: «Ero a casa sua (di Reina, ndr), la Roma lo chiamò e gli propose più soldi del Napoli. Io dissi: Pepe sono tanti soldi, vai cazzo, mi disse: soldi??? Che ce ne fotte, io amo Napoli, non tradisco!!!», scrive per dimostrare di sapere le cose del Napoli. Chissà se adesso, col contratto in bilico, proprio queste faccenda possa compromettere il rinnovo e la permanenza a Napoli di Reina.
Gli imprenditori arrestati sono degli appassionati: hanno rapporti con Lavezzi ma anche con Behrami al telefono ancora adesso, nonostante non giochino più nel Napoli. Perché per loro andare sotto il braccio di uno di questi campioni non ha prezzo. E lo fanno ogni volta che possono.
Il fuoriclasse assoluto in fatto di cattive compagnie rimane Diego Armando Maradona. Memorabile la sua foto nella vasca da bagno a forma di conchiglia, insieme a Carmine Giuliano detto O Lione, boss della camorra. Anche Dieguito negò sempre di essere a conoscenza degli affari dell’amico Giuliano. Altre fotografie mostrarono Renica e Francini sul balcone di casa Giuliano durante la festa del primo scudetto (1987), e mezza squadra del Napoli andò pure a celebrare la prima comunione della figlia di un altro boss, questo di Secondigliano, Mario Lo Russo, della famiglia dei Capitoni. C’è pure Hamsik, fotografato al fianco del boss Pagano. Lo slovacco si difese: «Che ne sapevo chi era?».
Come quello sprovveduto (quanto meno) di Lavezzi che racconta, in un’aula di tribunale, di aver giocato alla play station con il boss Antonino Lo Russo: «Non sapevo fosse un camorrista. Per me era solo un ultrà. Veniva a casa mia perché in Argentina è normale intrattenere rapporti con i tifosi». Chiese e ottenne, però, dal boss che venisse esposto in curva uno striscione Lavezzi non si tocca: cosa che non ha raccontato il Pocho ma in audizione in commissione Antimafia il sostituto procuratore della Dda di Napoli, Enrica Parascandolo. In cambio di cosa? Di una promessa. Che non sarebbe mai andato alla Juve. Perché i boss amano i campioni, lo usano come un prisma di potenza. Persino Raffaele Cutolo si fece omaggiare dal calcio quando il piccolo Juary, attaccante famoso per danzare attorno alla bandierina del corner dopo i gol, portò a don Raffaè una busta sulla quale stava scritto: «Dall’Avellino Calcio per Raffaele Cutolo».
Li attira la movida, i loro locali, le feste, la bella gente, l’adorazione che hanno per loro. E le paginate tutte on line in cui gli Esposito si mostrano in loro compagnia, ovviamente, non sono sfuggite all’analisi degli uomini della Dia. E sembra quasi una beffa il post su Facebook di Giuseppe Esposito, che ha come foto del profilo proprio il suo abbraccio a Reina. «Whatsapp, Instagram, Facebook. Ormai è dipendenza». Già, proprio così.Fonte: Il Mattino