Lui non ha segnato un gol come Puscas, né ha fatto un intervento difensivo di quelli che sono la prerogativa di Lucioni, eppure l’ovazione del pubblico, quando è corso ad abbracciare la squadra sul palco allestito
per la premiazione, si è sentita forte e chiaro. Oreste Vigorito è sicuramente l’artefice principale di questa storica promozione in A. Il re del vento, pioniere nel settore delle fonti rinnovabili, questa volta si è regalato qualcosa più di un’emozione e l’ha fatto con la sua solita carica, capace di coinvolgere tutti in una serata da sogno. Una corsa a perdifiato sotto ogni settore, davanti allo sguardo allarmato della sorella e delle figlie. Un bagno di folla tutto per lui, che da dieci anni ha cambiato i lineamenti del calcio beneventano, abituato a privazioni e c ampionati di scarso lignaggio. Gli hanno chiesto in quale momento della stagione avesse capito che questa squadra potesse farcela a cogliere un traguardo così importante. Lui, arguto come sempre, ha risposto che lo sapeva dal 17 marzo del 2006: «Prendemmo una società sull’orlo del fallimento, che non aveva neanche il campo per giocare. Io e mio fratello facemmo un patto quel giorno: avremmo dovuto condurre la squadra quanto più in alto possibile e anche se fosse rimasto uno solo di noi, avrebbe comunque portato a termine le missione».
RICORDO. Il ricordo del fratello Ciro, a cui sette anni fa è stato intitolato lo stadio, ha pervaso ogni momento della serata magica della promozione. Per il presidente è stato sempre un punto di riferimento essenziale, un esempio da seguire: «Glielo avevo promesso e io le promesse le mantengo. Non ci ha fermato nulla, neanche quando in Lega Pro ci prendevano a calci e giocavano sporco. Abbiamo perso almeno due campionati per le combine di avversari poco onesti, ma non ci siamo mai lamentati. E soprattutto non ci siamo mai fermati». Questione di stile, lo stesso che ha intravisto nell’allenatore che ha fatto l’impresa, Marco Baroni. Quando andò via Auteri che aveva condotto la squadra in B, Vigorito sondò il terreno per trovare un nuovo allenatore e quando contattò Baroni si sentì dire che avrebbe dovuto rifletterci qualche giorno. «In un altro momento avrei depennato subito quel nome – disse – ma avevo capito di aver incontrato una persona seria e per bene, uno che aveva lo stesso stile della famiglia Vigorito. Per questo aspettai che ci pensasse». E quel connubio iniziato con tre giorni di ritardo ha portato alla più grande conquista del calcio beneventano. Qualcosa che è già scritto nella storia.Corriere dello Sport