C’era un’epoca in cui le clausole risolutive (impropriamente chiamate rescissorie) corrispondevano a un prezzo proibitivo. In Spagna, per esempio, sono state utilizzate per scoraggiare le pretendenti interessate ai vari Messi (250 milioni), Cristiano Ronaldo (1 miliardo), Neymar (250 milioni), Bale (1 miliardo). I club portoghesi si sono adeguati stabilendo una cifra decisamente superiore al valore dei loro calciatori: clamorosa quella da 45 milioni nel contratto tra lo Sporting ed Ezequiel Schelotto, ex Inter.
L’Italia non ha seguito questa consuetudine, attribuendo all’eventuale risoluzione, un valore proporzionato o vicino all’effettiva quotazione del cartellino. Il dialogo ricorrente in sede di rinnovo e non solo si può sintetizzare così: «Vuoi che firmi? Allora definiamo un prezzo di cessione». Si è verificato con Pjanic nel 2014, con Strootman e Mertens quest’anno: sigla a 4 milioni per il belga del Napoli con clausola da 30 milioni, valida per l’estero dal 2018.
La clausola viene versata dal giocatore al momento dell’accordo con l’acquirente. Il cartellino di congedo smentisce così quanto dichiarato da De Laurentiis: «Non vendo perché metto clausole». Ecco: il caso Higuain-Juve, preceduto da quelli Lavezzi e Cavani, dimostra il contrario. Ma dopo l’addio del Pipita il patron azzurro ha deciso di proseguire la tradizione con la specifica valida solo per l’estero. E l’elenco è lunghissimo: Zielinski (65), Rog (55), Koulibaly (70), Hysaj (40) e Maksimovic (55).
Il Messaggero