Le prestazioni degli azzurri, gli elogi dell’Équipe e il dilemma sul confine tra bel gioco e vanità: efficacia e spettacolo sono inconciliabili?
L’ ARROSTO c’è, anche se il terzo posto rischia di nasconderlo con una beffarda cortina di fumo: che sta infatti dividendo i tifosi sulla Grande Bellezza del Napoli. Quelli del bicchiere mezzo vuoto, a 180’ dalla fine della stagione, danno la priorità al passo indietro in classifica degli azzurri: che un anno fa si erano arresi solo alla Juve e ora stanno invece rincorrendo invano pure la Roma, con la minacciosa ombra del preliminare di metà agosto, in Champions. Sta inoltre per andare in archivio la seconda annata consecutiva senza titoli, dopo la Coppa Italia e la Supercoppa Italiana vinte con Benitez: nella altrettanto controversa gestione tecnica dello spagnolo, che continua a far discutere nemici e nostalgici di Rafa. Lo stesso destino con cui è costretto a convivere Maurizio Sarri, capace peraltro di attirare intorno a sé un numero maggiore di consensi: grazie all’organizzazione e al bel gioco della sua squadra, apprezzata soprattutto all’estero come un modello di alta qualità, in primis dal punto di vista estetico. Il Napoli sta catturando sempre più sguardi e simpatie, con il suo “tiki taka vertical” (definizione dell’Équipe) e una propensione al calcio offensivo che non è esattamente nelle corde di una squadra italiana. Non stupisce dunque che il “Sarrismo” fatichi di più a fare breccia nel cortile di casa: perfino tra i tifosi azzurri, condizionati dalla loro atavica fame di successi e severi nei confronti di uno show che nessuno osa mettere in discussione, ma può apparire paradossalmente fine a sé stesso, proprio per la sua grande bellezza. Colpa del terzo posto in classifica, a cui Hamsik e compagni difficilmente riusciranno a sottrarsi nelle ultime due giornate: nonostante si apprestino a impreziosire la loro stagione con una collezione di primati. Di arrosto sul fuoco ce n’è un bel po’, nella sofisticata cucina di Sarri: anche se a rubare gli occhi è lo spettacolo, e la concretezza rischia di passare in secondo piano. I numeri raccontano invece un’altra verità: si può vincere pure in Italia attraverso il bel gioco, al di là di quello che sarà l’epilogo (un po’ anomalo) di questo campionato. Per conquistare lo scudetto, al Napoli non basterà avere la migliore differenza reti (+50, 86 segnate e 36 subite): un evento che non si verifica in serie A dal 2007 ed è in contraddizione con il teorema dell’equilibrio tra le due fasi, che normalmente è propedeutico al successo finale. Ma c’è di più: gli azzurri rischiano di arrivare terzi nonostante abbiano perso meno di tutti (solo 4 volte), abbiano vinto più di tutti fuori casa (12 volte), abbiano il migliore attacco e siano a un passo dal record assoluto dei gol segnati in trasferta (47), che resiste dal 1960. Sono 5 i punti recuperati sulla Juve nel girone di ritorno, in cui nessuno ha corso veloce come la squadra di Sarri: un solo ko (con l’Atalanta, a febbraio) negli ultimi sei mesi. Sul bilancio pesa in maniera decisiva la flessione di ottobre: tre sconfitte una dopo l’altra, contraccolpo per l’incidente a Milik. L’arrosto c’era, insomma: l’autunno nero ne ha solo rallentato la cottura.
Fonte: La Repubblica