«Perché il fatto non sussiste». È questa la formula che la Procura generale usa per escludere il reato di rissa, rivedere i ruoli nella dinamica degli scontri che si verificarono il 3 maggio 2014 nel prepartita della finale di Coppa Italia, e chiedere la condanna di Daniele De Santis per la morte di Ciro Esposito ipotizzando il solo omicidio volontario e senza l’aggravante dei futili motivi che aveva contribuito in primo grado alla condanna dell’ultrà romanista a ventisei anni di carcere. Ieri, davanti alla Corte d’Appello del tribunale di Roma, il pg Vincenzo Saveriano ha chiesto uno sconto di sei anni sulla pena per De Santis: venti anni di reclusione per aver aperto il fuoco sul gruppo di tifosi napoletani ferendo a morte il povero Ciro, morto in ospedale dopo una lunga agonia. Per il pg, De Santis sparò per paura, prima che ci fosse un contatto fisico con i tifosi antagonisti. Nessuna rissa. E nessun futile motivo, perché la paura non può essere considerata tale. È questo, in sintesi, il ragionamento che nel processo di secondo grado fa calare sul piatto una possibile diversa valutazione nella ricostruzione dei fatti di quel drammatico 3 maggio. In aula è presente Daniele De Santis detto Gastone che resta in silenzio. C’è mamma Antonella, la madre di Ciro, che ha trasformato il dolore in impegno sociale e spera nella giustizia per quel figlio che si è spento dopo 53 giorni di agonia. Il pg conclude la requisitoria con una richiesta di assoluzione per gli altri due imputati, Gennaro Fioretti e Alfonso Esposito, i tifosi del Napoli che al termine del processo di primo grado furono condannati a 8 mesi di reclusione ciascuno per rissa e lesioni al volto ai danni dello stesso De Santis. Quando prende la parola l’avvocato Sergio Pisani, che assieme agli avvocati Angelo Pisani e Domenico De Rosa, rappresenta i familiari di Ciro Esposito costituitisi parte civile, nell’aula risuonano le urla e le parole concitate di chi era nel pullman dove Ciro aveva viaggiato assieme agli altri tifosi napoletani. L’avvocato fa sentire l’audio di quei momenti, le urla con le richieste di aiuto, le frasi del tipo «ecco dove stavano… da dove sono usciti» che secondo la parte civile lasciano ipotizzare che ci fossero altri e De Santis non fosse da solo. L’avvocato Pisani chiede la conferma della condanna a ventisei anni di carcere per l’imputato, chiede che non venga modificata l’accusa, che non siano escluse le aggravanti, che non siano concessi sconti, ricostruendo l’agonia di Ciro, dall’aggressione alla morte, e il comportamento di De Santis, dai non ricordo del primo interrogatorio al racconto fatto un anno e mezzo dopo nel corso del processo quando precisò che la pistola non era la sua, che l’arma l’aveva strappata dalle mani di un tifoso napoletano alto e grosso dopo una colluttazione, che non voleva uccidere Ciro, che esplose quattro o cinque colpi senza mirare e in preda al panico scoprendo solo in un secondo momento di aver colpito qualcuno. Il processo proseguirà il 27 giugno con le arringhe degli avvocati degli altri imputati, poi si andrà verso la sentenza, secondo capitolo della vicenda giudiziaria. Una pagina triste per lo sport e per la città. Tre maggio 2015, il Napoli incontra la Fiorentina per la finale di Coppa Italia. Il campo di gioco è quello dello stadio Olimpico di Roma. È lì che è diretto anche il pullman dove viaggia Ciro Esposito con un nutrito gruppo di tifosi. Percorrono viale Tor di Quinto e incrociano Gastone, un ultrà romanista con il quale ci sono gesti, frasi. Sale la tensione. Sono momenti concitatissimi. La sequenza di quel che accade si fa sempre più rapida. L’aria è resa meno tersa dai fumogeni. Le distanze tra gli appartenenti alle due opposte tifoserie si accorciano. Accade l’irreparabile. Ciro resta a terra sanguinante. Gastone fugge via a sua volta ferito ma in maniera decisamente più lieve tanto che lui se la caverà, e sarà poi arrestato e processato.
Il Mattino