La vita di nonno Maradona – il nipotino Benjamin, figlio di Gianinna e del Kun Aguero, la sua grande passione – è nuovamente molto intensa. Ha appena firmato il contratto con l’Al-Fujairah, squadra di serie B degli Emirati Arabi, e lavora a pieno ritmo per la Fifa, che gli ha affidato l’incarico di ambasciatore dopo l’elezione di Gianni Infantino. Ma il 10 maggio è un giorno da celebrare. Diego ha pubblicato la sua foto con Bruscolotti durante il giro di campo al San Paolo, accanto i nomi di tutti i protagonisti di quella stagione, dai calciatori ai magazzinieri. «Perché vincemmo tutti insieme», spiega in un’intervista al Mattino dal Bahrein, dove è volato con il suo assistente e rappresentante, il napoletano Stefano Ceci, per un evento della Fifa.
Cosa fu quel giorno, vissuto con tutta la famiglia a Fuorigrotta? Don Diego e donna Tota in tribuna, i fratelli Hugo e Raul a bordocampo. «Il primo ricordo è il sorriso della gente. I tifosi erano felici perché potevano sentirsi i più forti d’Italia. I campioni erano stati sempre loro, quelli del Nord, e noi finalmente arrivammo al traguardo quella domenica». È un concetto che Maradona ha spesso sottolineato. Lui, figlio del Sudamerica, subito colse questa contrapposizione calcistica, sociale ed economica. «Mi chiesero di battere la Juve appena arrivai». E non di vincere lo scudetto? Diego approfondisce il concetto: «La gente era orgogliosa di noi perché il Napoli in campo realizzava le sue aspirazioni». E per questo la festa, dopo il pareggio con la Fiorentina, sembrò infinita.
Partì da lontano quel successo. Dall’acquisto di Diego nell’estate dell’84 e dal confronto in un albergo tra i giocatori della squadra penultima in classifica nel gennaio dell’85, ricordato per i toni aspri perché le posizioni del giovane fuoriclasse argentino e di alcuni veterani italiani non sembravano conciliabili. Ma due anni dopo, nella stagione dello scudetto, il Napoli era forte e solidissimo. Conferma Maradona: «Vincemmo perché formavamo una squadra unita. Sapevamo per cosa lottavamo, avevamo un grande obiettivo. Giocavamo per Napoli, per una città a cui mancavano tante cose ma che aveva una grande squadra». Ci sono stati esperti di calcio e di sociologia che hanno cercato di inquadrare quel fenomeno e quel rapporto, tra Diego e la città, che ha resistito alla squalifica per doping nel 91 e al passare del tempo. Quando l’ex capitano rimise piede a Napoli per la partita d’addio di Ciro Ferrara, dodici anni fa, si riempì il San Paolo. E nello scorso gennaio c’è stata la caccia ai biglietti per assistere allo show organizzato da Alessandro Siani nel teatro San Carlo per aprire i festeggiamenti del trentennale tricolore. Una simbiosi vincente. E Diego, a distanza di trent’anni, rivela: «La domenica, quando giocavamo, pensavamo ai tifosi».
Fonte: Il Mattino