A trent’anni dal primo scudetto del Napoli, le iniziative nella città partenopea si moltiplicano. Lo storico presidente del Napoli di quegli anni, Corrado Ferlaino, ha parlato ai microfoni di Mimmo Carratelli.
Ingegnere parliamo dello scudetto. “Quello dell’anno prossimo?”.
Ma no. Il 10 maggio di trent’anni fa. “Fu un bagno di sangue”.
Ma come? “Pagai otto miliardi di lire di premio-scudetto, sedici miliardi lordi con tasse e contributi”.
Però quell’anno incassaste 19 miliardi lordi al botteghino, il Milan 15, l’Inter 12, la Juve 9. “Gli incassi dei miei tempi erano il quindici per cento delle entrate dei club di oggi. E pagavamo stipendi che erano il doppio degli incassi”.
Suvvia, un po’ di romanticismo. “La domenica della partita decisiva con la Fiorentina, penultima al San Paolo, dissi a mia moglie: questa giornata vale una vita. La sera me ne andai su una Cinquecento nei quartieri popolari. Andai a Forcella e fu una notte di sogno”.
Così va meglio. Quando pensò che era l’anno buono con Maradona alla terza stagione in azzurro? “In ottobre con le vittorie sui campi della Sampdoria e della Roma”.
Ma eravamo solo all’inizio. “Poi seguì il 3-1 sul campo della Juve nella seconda domenica di novembre”.
La partita che lei vide solo per 50 minuti. “Segnò Laudrup all’inizio del secondo tempo. Lasciai lo stadio. Ero nervoso. La sconfitta mi angosciava. Salgo in macchina e mi allontano. Sento due boati consecutivi. Addio, avrà segnato ancora la Juve, pensai. Tornai indietro. Entrai di nuovo allo stadio. Il Comunale era un mare di bandiere azzurre, un coro immenso dei napoletani che cantavano. Quanti ce n’erano quel giorno a Torino? Diecimila? Ventimila? Furono i padroni dello stadio. Non aveva segnato la Juve. Era il Napoli che s’era portato avanti nell’ultimo quarto d’ora. Avevano segnato Ferrario e Giordano. Feci appena in tempo a vedere il gol di Volpecina. Torino mi sembrò un paradiso. Seppi poi che, proprio in quella domenica, la squadra si convinse di poter vincere il campionato”.
Come Boniperti, lei le partite non le vedeva mai per intero. “Avevo paura delle emozioni. Sa, il cuore. Ne erano morti troppi quand’erano presidenti del Napoli. Ascarelli, poi Egidio Musollino, Gioacchino Lauro, Corcione. Io non volevo morire”.
Guardava solo i primi tempi. “Il primo tempo non emoziona. C’è tutta una partita ancora. Al San Paolo mi mettevo dietro la porta avversaria. Andavo via nell’intervallo. Qualche volta mi trattenevo negli spogliatoi. Spesso, me ne andavo in giro per la città. Dalle grida e dalle facce della gente, cercavo di indovinare il risultato”.
Da Torino, fuggì una seconda volta. “A febbraio. Giocavamo contro il Torino. La partita era bloccata. L’Inter ci inseguiva a due punti. Vado via. M’infilo in macchina e corro verso l’autostrada per Milano. Accendo la radio. Ciotti interruppe i collegamenti. Ha segnato il Napoli, dice. Ha segnato Giordano a sei minuti dalla fine. Mi metto a saltellare al posto di guida. Gli altri automobilisti mi guardavano sconcertati. Feci la più irregolare delle inversioni di marcia per tornare allo stadio. M’ero allontanato troppo. Trovo traffico. La partita era terminata. Quando arrivo allo stadio, la squadra se n’era già andata”.
La squadra l’aveva costruita Italo Allodi. “Quando vincemmo, il merito andò ad Allodi e a Maradona. Era il pensiero dei tifosi. I giornali mi dedicavano pagine intere, ma per i tifosi io non avevo alcun merito. Però quando le cose andavano male, io ero il mostro da sbattere in prima pagina”.
Geloso di Allodi? “Bello lui, bello io a quel tempo. Un vero manager, un grande uomo di calcio. Lui volle Bianchi. Lui gettò le basi dello scudetto. Lui ingaggiò Giordano che tutti davano per finito. Mi promise lo scudetto in tre anni, lo vincemmo dopo due anni”.
Perché prese Allodi? “Gli chiedevo e mi dava consigli quando era il responsabile del Centro tecnico di Coverciano. Bastò una stretta di mano per farlo venire a Napoli”.
È vero che, quando dette Zoff alla Juve, Allodi le promise che, in cambio, sarebbe venuto a Napoli per farle vincere lo scudetto? “Assolutamente no. Per prendere Zoff alla Juve, Allodi che era un gran bel furbo corteggiò Guido Guerra che era il mio vicepresidente ed era angosciato dai debiti del Napoli. Ritenne di salvare le casse societarie cedendo Zoff. Poteva farlo, aveva il diritto di firma. Io mi incazzai molto con Italo”.
Furbo anche lei quando prese Maradona. “Ero al bar dell’Hotel Princesa Sofia di Barcellona in attesa. Il barman, che non mi conosceva, disse: ma lo sa che abbiamo venduto Maradona al Napoli? È un bidone, ha la pancia, beve, ingrassa e a Napoli non durerà più di un anno. Bevvi velocemente un whisky e mi toccai. Il barman mi mise un brivido addosso”.
Contratto depositato in Lega irregolarmente. A mezzanotte erano scaduti i termini per l’accettazione dei trasferimenti. “Non ricordo che ora fosse la notte del 30 giugno 1984 a Milano. Ero appena rientrato da Barcellona col contratto di cessione di Maradona volando sul charter che avevo noleggiato, pilotato dal comandante Plaga. Non ebbi il tempo di guardare l’orologio. Però, altro che mezzanotte. Erano le quattro del mattino. Mi portavo in Italia il più grande giocatore del mondo, chi avrebbe avuto il coraggio di respingere il contratto presentato fuori tempo massimo?”.
Lei guerreggiava col pibe. “Napoli era la città giusta per Diego, campione unico e onesto, l’uomo più onesto che abbia conosciuto nel mondo del pallone. Poteva avere tutti i vizi del mondo, ma nel calcio era un uomo pulito”.
Simpatizzava coi giocatori? “Guai. Ti spolpavano vivo bussando a danari”.
Ma ci fu un giocatore per il quale ebbe più simpatia? “Anni dopo, per Alemao. Una persona per bene, molto religioso di una religione strana, non la ricordo. Sono andato più di una volta a San Paolo per incontrarlo dopo che smise di giocare”.
Auguri, presidente. “Auguri di che cosa?”
Il 18 maggio è il suo compleanno. “Ah, il 18. Il mio numero fortunato. Sono nato il 18 maggio, il 18 gennaio 1969 sono diventato presidente del Napoli, ho vinto lo scudetto al diciottesimo anno della mia presidenza”.
E lo scudetto dell’anno prossimo? “Il Napoli c’è molto vicino”.
Corrado «Cincinnato» Ferlaino coltiva le sue rose a Ercolano. “E se son rose fioriranno”, dice.
Come il prossimo scudetto con Sarri gli verrebbe da dire, ma non lo dice. Scaramantico sempre e, un tempo, molto bugiardo.
“Lei mi ha sempre chiamato bugiardo. Non la sopporto. Arrivederci”.
Il Mattino