A pensarci bene, non è la sequenza (pure rilevante) delle partecipazioni in Europa, ma la capacità di assentarsi così raramente che fa la differenza. Il Napoli torna in serie A nel 2007, a tre anni dal Fallimento e dalla rinascita, e come presentazione Edy Reja lo porta immediatamente all’Intertoto poi allo spareggio, con il Benfica, per l’accesso in Europa League, dove svanisce il sogno. Però un giretto nel Vecchio Continente il Napoli lo fa e con soddisfazione: va male nel 2008-2009, l’unica versa stagione critica, quella dell’avvicendamento Reja-Donadoni, ma poi quando ricomincia a ripresentarsi tra le grandi, e siamo nel 2009-2010, sesto posto con Mazzarri, il Napoli dell’era De Laurentiis decide di non uscirne più: è una lenta ma graduale evoluzione, che contiene una serie di partite che lasciano il segno. C’è la Champions nel 2011-2012, con tanto di girone della «morte» (con Bayern, Manchester City e Villarreal) superato di slancio ed eliminazione agli ottavi di finale contro il Chelsea, che poi avrebbe vinto la Coppa, nei supplementari. Un’altra Champions è il regalo d’addio di Mazzarri e Benitez, nella sua prima annata, la affronta con un’autorevolezza che regala solo un primato beffardo: eliminato con dodici punti, come mai successo ad altri. Nella seconda stagione di Benitez, c’è il punto più alto di Europa League: il Napoli arriva fino alle semifinali, contro il Dnipro, e viene sconfitto nel doppi scontro soprattutto da una serie di decisioni arbitrali assai contestabili, come il gol del pareggio ucraino al san Paolo (fuorigioco di mezzo metro) e certe scelte della sestina nella sfida di ritorno, a Kiev. Con Sarri, al debutto sulla panchina del Napoli, è subito stata Champions, con il secondo posto dell’anno scorso (due punti di vantaggio sulla Roma): girone trionfale, conquistato di slancio nell’ultima giornata, e poi il sorteggio «amico» che ha regalato il Real Madrid, i campioni in carica.
Corriere dello Sport