Lo spettacolo – “Il mio Maradona nel cuore dei napoletani”

«Tutto è partito dall’idea di tre ragazzi che mi hanno proposto il canovaccio da cui è poi nata la sceneggiatura di Maradonapoli», spiega così la genesi del suo primo documentario il regista Alessio Maria Federici, che ieri ha raccontato, in esclusiva per «Il Mattino», alcuni segreti del film che sarà in sala in un’uscita evento dall’1 al 10 maggio («d’altra parte non è che siano poi tanti i film italiani che restano in sala per più di dieci giorni», ironizza lui).
«Maradonapoli» celebra «El Pibe de Oro» in occasione del 30isimo anniversario del primo scudetto del Napoli, il film è stato prodotto da Cinemaundici in associazione con Rancilio Cube ed è distribuito da Warner Bros Pictures. Il soggetto e la sceneggiatura sono di Antonio Di Bonito, Cecilia Gragnani, Jvan Sica e Roberto Volpe. In questo documentario il regista racconta attraverso i volti dei protagonisti – i cittadini di Napoli – il 30 giugno 1984, data che segna l’avvento a Napoli di Diego Armando Maradona.
Lei è romano e romanista, come si è rapportato con Maradona?
«Ho in comune con tutti i tifosi la passione per il calcio e per le emozioni che al calcio sono legate. Prima di accettare di girare il film sono stato due settimane a Napoli per incontrare alcune delle persone che mi avevano segnalato i ragazzi e capire se davvero un film del genere fosse fattibile. Il risultato di quel sondaggio è stato più che positivo».
Non ha mai temuto di essere percepito come «alieno» a quella realtà?
«No, perché non mi sono mai nascosto: appena apro bocca tutti capiscono che sono romano e innamorato di Totti. Ma è proprio la mia malattia del pallone che mi ha dato l’approccio giusto: le persone che intervistavo mi hanno sentito come uno di loro, perché io, come loro, so cosa si prova quando la tua squadra finalmente riesce a vincere dopo anni di frustrazioni, so cosa si sente dentro quando fa un goal al 95° e cambia una partita che sembrava segnata».
Come ha strutturato il film?
«La cosa che ho chiesto e ho ottenuto è stata, appunto, di girare questo documentario proprio come un film: avevo due macchine da ripresa cinematografiche e un direttore della fotografia come Martino Pellion di Persano, per garantire la qualità dell’immagine. La vera difficoltà è stata montare il tutto, visto che ho dovuto sintetizzare quarantacinque ore di interviste in 73 minuti di film».
Alla fine lei che idea si è fatto di Maradona?
«Mi sono reso conto che Maradona è ancora in città o, ancora meglio, come dice un mio intervistato, è un napoletano che vive all’estero. Ognuna delle persone con cui ho parlato ha il suo Maradona, suo ricordo piacevole legato a lui. Chi oggi ha sessant’anni rievoca grazie a lui i propri trent’anni e ancora oggi ci sono intere famiglie che, il giorno di Capodanno, si riuniscono per rivedere insieme i goal di Maradona. La cosa straordinaria è che, mentre a Roma se parli di Totti o, dall’altra sponda, di persone come Di Canio, qualcuno che dica cose sgradevoli lo trovi sempre, a Napoli sono tutti d’accordo su di lui. Le uniche delusioni che ha dato sono legate ai suoi errori di vita, ma l’amore resta incondizionato».
Il suo documentario ha la caratteristica di essere «trasversale» nel raccontare questa passione.
«Napoli, che tramite Maradona ho imparato a conoscere e amare, è una città incredibilmente stratificata a livello sociale, ma su Maradona queste differenze crollano. Cito per tutti il caso del professor Bruno Siciliano».
Ce ne parli.
«Bruno Siciliano è ingegnere dell’automazione e un robotico che dal 2003 insegna alla facoltà di Ingegneria dell’Università Federico II. Tra le altre cose ha pubblicato un testo di robotica che ha venduto tre milioni e mezzo di copie in tutto il mondo. Ebbene, quando gli hanno offerto un dottorato al Mit, trovandosi di fronte alla scelta tra l’università migliore al mondo e vedere Maradona giocare nel Napoli, lui non ha avuto dubbi ed è rimasto in Italia. Ancora oggi Siciliano pianifica le sue conferenze all’estero basandosi sul calendario delle partite del Napoli».
Ma lei Maradona l’ha incontrato?
«No, perché è stato come se mi fossi seduto a tavola con tutta Napoli che mi parlava di lui. È la storia di quei sette anni incredibili in cui lui, con il Napoli, ha vinto due scudetti, una Coppa Italia, una Coppa Uefa e una Supercoppa italiana. È la storia raccontata di chi ha vissuto per lui in quegli anni meravigliosi. Il film è un racconto d’umanità. Io non ho tesi, né ipotesi, semplicemente racconto questo meraviglioso amore».
Amore e Napoli che tornano anche nel suo prossimo film.
«In effetti, ho finito venerdì le sei settimane di riprese di Terapia di coppia per amanti, tratto dal romanzo di Diego De Silva».
Cosa ci può anticipare?
«Lo scrittore racconta una storia che andava interpretata in modo diverso, bisognava andare oltre gli stilemi abituali delle ultime commedie italiane. Per questo, per interpretare i due amanti che vanno a fare la terapia di coppia come fossero marito e moglie, ho scelto Ambra Angiolini e Pietro Sermonti, mentre Sergio Rubini mi ha garantito un approccio più classico; e sono grato alla Warner che mi ha permesso di lavorare come volevo».
Quando vedremo il film?
«Ora mi prendo una settimana di vacanza, subito dopo inizio il montaggio e il film uscirà il prossimo novembre».

Fonte: Il Mattino

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