L’intervista a Caniggia: “Il ricordo più bello? Il gol alla Juventus”

«L’ATALANTA? CORRE COME ME HO UN SOLO EREDE: IL PAPU»

C laudio Caniggia vive a Marbella da 10 anni con un dubbio esistenziale: «Se amo l’Italia, perché sono qui?». E’ lì perché l’hanno spinto i nuovi interessi (intermediazione di giocatori, attività immobiliari), ma il cuore lo porterebbe lontano dalla Spagna. Ex Roma, ex Atalanta e tanto altro ancora. Il figlio del vento. Quello del gol a Zenga al Mondiale. Quello della vita spericolata e della squalifica per cocaina. Prima della sfida dell’Olimpico si racconta così.

Nostalgia dell’Italia? «C’è sempre, tantissima».

Quando è venuto l’ultima volta? «Una paio di anni fa per una partita benefica».

Le ricordano ancora il gol che ci ha buttato fuori a Italia 90? «Certo, e rispondo che sono stato bravo io. Zenga non ha colpe, anche fosse rimasto in porta non so se l’avrebbe parato. Era un’azione veloce».

Le piace fare il procuratore? «Non usate quella parola: mi infastidisce. E poi mi occupo di altro in Spagna, Stati Uniti e in Argentina, ogni tanto faccio da tramite tra società e giocatore, ma è una cosa occasionale».

E’ rimasto il figlio del vento? «Mi piace correre e da ragazzo lo facevo piuttosto bene: 100 e 200 metri»

I figli maschi hanno seguito le sue tracce? «Per fortuna no: Axel, il maggiore, dipinge e Alexander canta in Argentina. Poi c’è Charlotte che fa teatro e tv».

Sorpreso dall’Atalanta? «Un po’ sì. La seguo sempre, l’ultima partita che ho visto è stata quella di San Siro con l’Inter, un incidente di percorso. Sta facendo un campionato spettacolare. Mi hanno stupito soprattutto Conti e Caldara, giocano in modo naturale, hanno dimostrato di avere una forte personalità».

C’è un nuovo Caniggia in giro? «Sinceramente non ne vedo. Anzi, forse sì: è il Papu Gomez».

Solidarietà tra argentini… «Ma no, è la verità: è imprevedibile, forte nell’uno contro uno. Può fare l’ala come me, la seconda punta o il trequartista. Certo, fisicamente ci assomigliamo poco».

L’Atalanta andrà in Europa? «Sì, ma sarà decisiva la partita col Milan». Gasperini? «Mi sembra molto bravo, ha rischiato lanciando i giovani».

Cosa le è rimasto di nerazzurro? «Tanti amici e grandi partite: le due vittorie contro la Juve per esempio, con un mio gol decisivo (l’8 ottobre 1989 a Torino, ndr). Oppure quella contro il Milan e la Samp di Vialli e Mancini. Quello era davvero il campionato più bello del mondo, ora il livello è calato molto. Molti di noi faticherebbero a giocare oggi».

Più forte quell’Atalanta o questa? «Diciamo che sono alla pari».

È vero che faceva le corse in auto con Doni? «Vero, è capitato una volta, credo nel 1990, dopo il mio ritorno all’Atalanta. Sto andando al campo, Cristiano mi sorpassa. Suono il clacson, scatta la sfida. Io avevo una Mercedes 290, lui non ricordo. Lo sorpasso, entro a Zingonia, parcheggio vicino a Vavassori, appena sceso da una Panda con il cane. Arriva Doni e tira sotto il cane, per poco non l’ammazza. Il mister urla come un matto, sembra l’uomo delle caverne, poi dice: “Vado dal veterinario, allenatevi da soli”».

In campo o in auto, ma quanto le piaceva correre? «Vi racconto anche questa. Con Mondonico si faceva un lavoro leggero il lunedì mattina, poi ci lasciava liberi due giorni. Qualche volta ne approfittavo per andare a Montecarlo: ripartivo il mercoledì alle 6.30, in Porsche a 240 all’ora. Una volta la polizia mi ha inseguito per 50 chilometri fino a Ventimiglia senza prendermi, ha avvertito un’altra pattuglia che mi ha fermato e multato»

Come finisce all’Olimpico? «Direi pari: va bene soprattutto all’Atalanta».

La Roma può sperare ancora nello scudetto? «Impossibile, la Juve è troppo forte, troppo solida».

E’ il 28 marzo 1993, Brescia-Roma 0-2, Boskov in panchina: Caniggia segna e si ricorda chi debutta quel giorno? «Come no? Francesco Totti. Quando veniva ad allenarsi con noi si intuiva già che avrebbe fatto una carriera fantastica, Per questo non capisco il senso di farlo giocare pochi minuti. Lui merita un altro finale, non deve farsi compatire. Bisogna saper scegliere il momento di chiudere».

Lei ha chiuso con la Roma nel modo peggiore: 13 mesi di squalifica per doping. «Ho sbagliato, ho pagato. Ma la punizione è stata esagerata, non era un inganno. La cocaina non ti fa giocare meglio. Avrebbe avuto più senso una squalifica inferiore e un periodo ai servizi sociali, come succede negli Stati Uniti».

C’è il doping nel calcio? «Mah, posso dire che oggi nel calciatore c’è più professionalità di prima, più conoscenza. Anche se non mi piacciono certe cose: manca il contatto umano con i giocatori, quando c’è un evento entrano da una porta di servizio per non farsi vedere. Come se vivessero in un mondo di cristallo. Intoccabili»

Fonte: gasport

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