«Ora devo lavorare ancora più forte». Armando Izzo, il ragazzo di Scampia, fa finta di essere sereno ma in realtà è sgomento. Mette sul suo profilo Istagram una foto delle sue scarpe da calcio allacciate ma domenica non giocherà. E non lo farà neppure nei prossimi 18 mesi, se sarà confermata in Appello la lunga squalifica. Il che significa dover dire addio anche al sogno del Mondiale in Russia. Aveva definito il processo di ieri al tribunale federale come la battaglia per la mia vita. Esce assolto dall’accusa più infamante, quello di essere stato protagonista delle due combine, ma viene condannato per due omesse denunce. «Sapeva dell’illecito e doveva segnalarlo». A Scampia, nel suo quartiere dove gli altri fratelli vivono ancora, sono sconvolti dalla sentenza. Lo è più di tutti il suo primo presidente, Antonio Piccolo, che guida dal 1986 la scuola calcio Acli Scampia. «Non mollare, supererai anche questa», gli ha scritto appena ha avuto la notizia. «Non credo a nulla di quello che dicono, è un ragazzo perbene, se avesse voluto prendere delle scorciatoie illegali, la vita gliene ha offerte tante quando da ragazzino è rimasto senza padre e ha stretto i denti per portare avanti la sua famiglia. E invece mai: ha sempre filato dritto. E chissà questo quartiere quante occasioni per sbagliare gli ha offerto. Non è mai caduto in tentazione e non ho mai avuto dubbi che pure questa volta, in questa brutta storia, lui non c’entra nulla. E poi 18 mesi per omessa denuncia? Mi sembra una vera esagerazione». Aveva otto e mezzo quando nelle strade del «Terzo Mondo» tutti avevano capito che quel ragazzino aveva stoffa da vendere. Il papà Enzo lo portò all’Acli e avvertì Piccolo che non aveva soldi per pagare la retta. Accolsero Armando a braccia aperte. L’anno dopo, quando il papà morì, lui andò a Marianella per il provino e il Napoli lo prese subito. «Gli vollero bene tutti subito: Palermo, il suo agente che diventò come un secondo padre, ma anche quelli del Napoli, a cominciare da Santoro». Comincia la trafila nelle giovanili azzurre. Lo aiuta il procuratore che lo segue da sempre, Paolo Palermo, e così Izzo fa strada nel Napoli: scudetto con la formazione Berretti, il passaggio nella Primavera ma anche la convocazione di Walter Mazzarri nell’estate 2010 per il ritiro di Folgaria. «Mister, non ho i soldi per le scarpe da allenamento» disse al primo incontro. Il tecnico toscano mandò allora il preparatore dei portieri Papale, a comprarle. La carriera di Izzo decolla: Triestina, Avellino, Genoa e infine la Nazionale. Una brutta storia, con pentiti di camorra che lo hanno tirato in ballo e boss di Gomorra che ne parlano come uno di loro. «Le due gare sotto accusa non le ho giocate. E anche le due precedenti. Avevo una cicatrice con edema. Se avessi avuto un patto con questi criminali come avrei potuto tirarmi indietro?», racconta ai giudici federali. Che, in parte, gli hanno creduto. L’altro napoletano Fabio Pisacane, difeso dall’avvocato Chiacchio, è invece stato assolto. La procura chiedeva 6 mesi per omessa denuncia.
Il Mattino