Calcio e Camorra. Lo Russo mediò tra le curve per «blindare» Lavezzi

Calcio e camorra. Non sarà certo inedito il tema, ma se anche la Commissione parlamentare antimafia decide di approfondire uno degli aspetti più inquietanti sul quale spesso convergono passione sportiva e interessi illeciti della criminalità organizzata, un valido motivo dovrà pure esserci. A Palazzo San Macuto, ieri, nell’ambito dei lavori del «comitato sport e mafia», è stata ascoltata il magistrato della Procura partenopea Enrica Parascandolo: titolare di delicate inchieste sui clan del Rione Sanità e dell’area nord del capoluogo campano, il pm si occupò anche dell’indagine sul boss Antonio Lo Russo, immortalato il 10 aprile 2010 a bordo campo dello stadio San Paolo durante la partita tra il Napoli e il Parma.
L’audizione. I rapporti tra il tifo organizzato e la società, il ruolo di alcune sigle ultrà e gli eventuali rapporti tra chi frequenta le curve e i clan: soprattutto su questo si è appuntata l’attenzione dei parlamentari che hanno rivolto domande al pm della Dda partenopea. «Esiste una forma di controllo, come per tutte le attività, da parte della camorra – ha spiegato Parascandolo – non mi sento di escluderlo. Ma questo non vuol dire che le curve siano appannaggio dei clan o che i clan condizionino la gestione o la vendita dei biglietti». Al presidente del Comitato, Marco Di Lello, che le chiedeva se esista un interesse o condizionamento da parte di famiglie criminali sulle curve e se risultino «frequentazioni del vertice della società calcio Napoli con i clan per acquietare la curva», il magistrato ha replicato: «Assolutamente no. E sì, ci sono state indagini», ha risposto.
Tifo e camorra. Nel suo intervento il magistrato inquirente ha più volte sottolineato un concetto, spiegando ai commissari che sarebbe sbagliato comporre facili equazioni per assimilare il tifo delle curve a quello della criminalità organizzata. Il sostituto procuratore ha anche ricordato l’inquietante episodio che si verificò nel settembre del 2015 proprio allo stadio San Paolo: quando – in piena di guerra tra bande rivali per il controllo dei traffici illeciti nel centro storico di Napoli – due gruppi di tifosi organizzati (il primo proveniente dal Rione Sanità e il secondo da Forcella) entrarono in contatto e si scontrarono. In quell’occasione oltre ad una mega rissa sputarono anche i coltelli, ed un ultrà azzurro venne ferito.
Il figlio del boss. Enrica Parascondolo è stata convocata a Roma per riferire sulla presenza del boss Antonio Lo Russo, oggi collaboratore di giustizia, a bordo campo al San Paolo nella primavera 2010. Non fu un caso isolato, spiega: Lo Russo era un frequentatore abituale del campo di calcio di Fuorigrotta, ma non era ancora latitante (lo diventerà solo successivamente, il 5 maggio). Il privilegio gli era stato concesso grazie un pass da giardiniere che la ditta incaricata della manutenzione del manto erboso gli aveva procurato, racconta il magistrato che scagiona dunque la Società Calcio Napoli. Evidentemente gli elenchi preventivamente forniti alla Questura che indicavano nomi e cognomi degli addetti a bordo campo non furono vagliate opportunamente, per quanto – ribadiamolo – all’epoca Lo Russo non era ancora latitante.
Lavezzi. Ma Lo Russo è un caso non solo in quanto tifoso in quella circostanza, ma anche per il rapporto di amicizia con l’ex calciatore del Napoli, Lavezzi, al quale aveva anche procurato un’utenza telefonica dedicata, il cosiddetto «citofono», per evitare – almeno secondo quanto lo stesso collaboratore di giustizia ha riferito ai magistrati – che attraverso il calciatore si potesse risalire a lui. La pm ha parlato anche di un particolare sconosciuto ai più: il lavoro di diplomazia di Lo Russo sulle due curve rivali – la A e la B – per far esporre lo stesso striscione, «Il Pocho non si tocca: ciò sarebbe avvenuto «in cambio della garanzia da parte del calciatore di non andare a giocare in squadre italiane come la Juve, ma nel caso solo all’estero».

Fonte: Il Mattino

 

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