C’è stato un tempo, ed è durato un po’, in cui l’estasi si trasformò in tormento e divenne complicato scoprire se stessi e definire l’orizzonte. Nessuno è profeta in Patria e la paura d’essere dinnanzi ad una verità accertata, s’era intrufolata nella coscienza d’un uomo terribilmente solo con se stesso: il 29 ottobre del 2016, quasi fosse ieri, nel tunnel che s’allungò e circondò Insigne, restava il labiale all’uscita dal campo, il can-can successivo e il sospetto d’essere finito nella penombra dal quale però Sarri seppe come tirarlo fuori. «Tu fai semplicemente quello che sai fare, non inseguire il gol, quello verrà quando meno te lo aspetti. Ma devi stare tranquillo. Capito? Tranquillo…». La quarta sostituzione su dieci partite e la paura enorme che il “mondo” congiurasse contro di lui: né gol, né gioie, solo quel retrogusto amaro di vedere “puntualmente” la lavagna luminosa accesa, il 24 in evidenza e un tonfo nell’anima. Ma è così che si diventa Insigne, quel fenomeno paranormale che s’è preso il Napoli e se lo è portato in spalla per trenta partite (consecutive) da titolare, un monumento che si staglia nello spogliatoi – all’annuncio della formazione – e diventa un totem o anche una bandiera, un simbolo o anche un cannoniere.
Fonte: CdS