La partita dell’Italia contro l’Albania ha dato l’ultima «spinta» alla piena maturità calcistica di Lorenzo Insigne, un talento che non vive più di egoismi, insofferenza, ricerca nervosa del gol, liberatosi ormai dall’ossessione di dimostrarsi il migliore e di inseguire a tutti i costi il magico tiro «a giro».Ventisei anni, 326 partite giocate fra club e nazionali, quasi cinquanta presenze «europee», mai condizionato dall’altezza (1,63), due centimetri meno alto di Maradona, cinque meno di Gianfranco Zola, due meno del Papu Gomez, insomma il più piccoli tra i piccoli. E con un carniere di 88 gol, 34 col Napoli, due indimenticabili in nazionale contro la Spagna e l’Argentina. L’altra sera a Palermo, il 4-2-4 di Ventura è stato poco libidinoso, piuttosto un faticoso 4-4-2 contro l’ardimentosa Albania di Gianni De Biase che ha costretto gli esterni offensivi, Candreva e Insigne, a rientrare, il primo per dare una mano a destra contro la vivacità di Roshi, il napoletano costretto a fare il terzino sull’amico Hysaj.Istruito da Zeman, al Foggia e al Pescara, da punta mancina, in Puglia col brasiliano Farias e il cagliaritano Sau, in Abruzzo con Caprari e Immobile (Verratti, dietro, a «suggerire»), perché per il boemo la migliore difesa è l’attacco, Lorenzo venne sottratto da Benitez agli esclusivi compiti offensivi (se ne lamentò proprio Zeman) per una partecipazione «concreta» al gioco di squadra. Fu il primo passo di Insigne, con grande sacrificio e insofferenza, per diventare un giocatore più completo nel 4-2-3-1 del madrileno.
Fonte: Il Mattino