Il Mattino “VESUVIO LAVALI COL FUOCO” – Le pressioni dei grandi club sulla Federcalcio: non si chiudono più le curve

È da un bel po’ di tempo che urlare Vesuvio lavali con il fuoco non costituisce più comportamento discriminatorio: è da un po’ di tempo che non si arriva alla chiusura dei settori dello stadio per insulti o denigrazioni di origine territoriale. I cori beceri contro  Napoli e i napoletani, sentiti in questa stagione al Dall’Ara di Bologna, allo Juventus Stadium di Torino (sia in campionato che in Coppa Italia) e all’Olimpico di Roma, ormai valgono una semplice multa, quasi mai eccessiva. De Laurentiis, l’altra sera, al termine della gara con il Real, ha sottolineato come forse il limite sia stato superato. «Una volta ci ridevo sopra, ma adesso no. Lo trovo disgustoso augurare a un popolo di essere lavato dal Vesuvio, io non mi sono mai sognato di augurarlo a nessuno». E proprio così: per la Figc dare del «coleroso» o augurare «l’eruzione del Vesuvio» a un napoletano è diventato al massimo un’offesa, non certo razzismo. Le norme del 2013 (che portarono a numerose chiusure di settori: Bologna, Inter, Juventus, Milan e altri) erano effettivamente un pasticcio, mai chiarite davvero neppure all’Uefa che colpivano alla rinfusa. Ma adesso è peggio: invece di correggerle e migliorarle si è pensato bene di abolirle. Se non ufficialmente, almeno nella sostanza. 10mila euro vale quel coro dell’odio contro i napoletani, che si sente ormai ovunque negli stadi d’Italia. In pratica, oggi le multe per denigrazione territoriale, in serie A, sono inferiori a quelle pagate se un raccattapalle fa sparire un pallone. Un reato letteralmente depenalizzato, nella pratica. Spiega uno degli esperti di giustizia sportiva, Eduardo Chiacchio. «Il punto non è che queste norme sia state cancellate, il punto è che il giudice sportivo oramai sta dando maggiore importanza al comportamento del resto dello stadio e al ruolo del club: così come previsto dallo stesso codice di giustizia sportiva, la società che risponde a titolo di responsabilità oggettiva dell’operato dei proprio tifosi, gode dell’attenuazione della pena sia quando una parte del pubblico si dissocia da questi cori o quando gli speaker dello stadio avvertono dei rischi di sospensione». A quel punto la sanzione diventa       un’ammenda. Come è successo negli ultimi tempi. La formula magica adottata del giudice sportivo per liberare tutti e cancellare la tolleranza zero sbandierata ai quattro venti appena quattro anni fa è la seguente: «Per avere la Società concretamente operato con le Forze dell’Ordine a fini preventivi e di vigilanza».

Semplice. E così il pugno duro diventa un ricordo e spunta la carezza. E i razzisti da stadio tornano a essere giudicati non come violenti (certi cori sono fucilate), ma come simpatici giocarelloni che si divertono con degli sfottò. Non è un paradosso: l’ultima volta che una curva è stata chiusa è stato dopo Roma-Napoli del 25 aprile scorso. In quel caso, oltre ai cori discriminatori, si superò il limite della decenza con gli insulti alla mamma di Ciro Esposito. James Pallotta, il padrone della Roma, sbottò contro i suoi tifosi: «Siamo stufi di questi fucking idiots», e la traduzione è praticamente superflua. Il risultato di questo dietrofront della giustizia sportiva è una memorabile confusione. Perché il nostro calcio aveva provato a fare la voce grossa, aveva deciso di essere duro e severissimo, salvo mostrare il solito cuore tollerante. Dalla voce grossa è uscito un mezzo sospiro e così si è tornati indietro ad anni di impunità e vergogna a cui invece pareva di essere stato messo un freno: ma non è così. Il diritto pretende certezza, ma la confusione è massima visto l’andamento ondulatorio delle sanzioni. Molto dipende dalle relazioni degli ispettori del giudice sportivo. Qui, l’uniformità è essenziale, dunque Mastrandrea farebbe bene a convocare il suo staff per fissare i paletti su cui poi far basare le sentenze. La svolta nel 2014, con l’avvento di Tavecchio, appena rieletto: primo consiglio federale e decisione di derubricare la discriminazione territoriale a semplice oltraggio. Cancellandola dall’articolo 11 del codice di giustizia sportiva, che regola i casi di razzismo. Il motivo? I grandi club hanno sempre temuto di finire ostaggio dei proprio ultrà: se loro sbagliano, pagano le società. E allora tutti tranquilli: urlare colerosi o Vesuvio lavali con il fuoco garantisce al massimo un’ammenda. Spiccioli, per un grande club. Quel che conta è aggiungere la formula magica: «Per avere la Società concretamente operato con le Forze dell’Ordine a fini preventivi e di vigilanza».

Fonte: Il Mattino

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