Si sente spesso accusare le società del campionato italiano, in particolare i professionisti, di non avere delle strutture adeguate per valorizzare i giovani. Si accusa di non avere un settore giovanile di livello tale da abbandonare almeno in parte la malsana abitudine di affidarsi a calciatori stranieri, a basso costo, e di lasciar in disparte i giovani talenti nostrani. Si accusa anche il calcio italiano di non fornire dei giovani talentuosi e quindi gli stranieri sono l’unica soluzione per accrescere il livello tecnico della squadra.
Ma qual è la realtà dei fatti?
Iniziamo dicendo che secondo quanto stabilito nella Legge Melandri del 2008, i contributi statali provenienti dai diritti tv riservati al settore giovanile equivale al 20% del totale. Tradotto in cifre si parla circa di 250 milioni da suddividere in tutte le squadre professionistiche. Sembrerebbe una cifra esorbitante, ma che se si fanno i conti sono in realtà delle briciole. Basti pensare che soltanto in Lega Pro si parla di 180 squadre giovanili tra la formazione Berretti, l’U17 e l’U15. Se provassimo a fare i conti in tasca alle società potremmo solo impallidire. Spese esorbitanti se si considera che ogni squadra è composta da circa 20 giocatori e il sostentamento dei giocatori, secondo le normative FIFA, è totalmente a carico delle società. È realmente così?
Sembra proprio di no. Già lo scorso anno si denunciò quanto accadeva nel settore giovanile dell’Avellino. Secondo alcune denunce, infatti, i giocatori vivevano in condizioni pessime, che le spese di vitto, alloggio e istruzione erano tutte a carico del genitore e non della società come la normativa garantisce e stabilisce. Purtroppo, però, quella irpina non è la sola realtà che fa funzionare così le cose.
Secondo alcune testimonianze raccolte dalla nostra redazione, infatti, questo fenomeno è particolarmente diffuso in Lega Pro, dove le società danno i settori giovanili in gestione a terzi, non sempre persone trasparenti e corrette. Da qui la conseguente richiesta di pagamento di, come detto, vitto, alloggio, istruzione. I giocatori hanno l’obbligo di andare a scuola e la società ha l’obbligo di garantire l’istruzione dei giovani. I ragazzi entrano nei settori giovanili all’età di 14 anni, ma la maggior parte delle volte succede quanto sottolineato nelle righe precedenti. In un convitto ogni giocatore costa all’incirca 700/800 euro per vivere come si deve, in alcune occasioni, però, oltre al “furto” da parte dei gestori dei convitti ci sta anche la truffa, perché non sempre le condizioni di vita dei giocatori sono dignitose. Questo accade soprattutto quando si parla di giocatori che provengono da regioni diverse da quella di appartenenza della società. La cosa più grave è che le società sono pienamente coscienti di quello che avviene.
Insomma c’è un vero e proprio giro di business intorno al sogno di tanti ragazzi che vorrebbero approdare nel mondo del calcio. A guadagnarci non ci sono solo i gestori dei settori, ma anche procuratori, agenti e chi in generale segue i giovani o organizza i provini e gli stage. Premettendo che tutto dovrebbe sempre essere a spese della società e non del giocatore, ci sono provini reali nelle quali poi ci sono le chiamate per la firma, ma ci sono anche degli stage fittizi, organizzati esclusivamente per guadagnare sul sogno dei giovani. Capita che nel periodo estivo, quando si devono allestire le squadre si organizzano finti provini, nei quali non sono presenti degli osservatori o se ci sono è solo per fare un favore all’amico procuratore, una comparsa. In realtà non ci sarà nessuno ad osservare, a valutare e nessuno richiamerà mai nessuno dei giocatori che si sono presentati allo stage.
La situazione appena descritta è prevalente in Lega Pro, rara in Serie B, inesistente in Serie A. In massima serie, si sa, ci sono raccomandazioni, ma testimonianze su questo tipo di situazioni non ce ne sono. Le serie dilettantistiche non sono esenti. Trattandosi per lo più di giocatori presenti in regione, non è necessaria la presenza di un convitto, ma ciò non toglie che i “regalini” ci siano lo stesso. Per entrare in squadra, per i provini, per essere accettati. Ogni occasione è buona per avere un tornaconto che può andare dal regolo, al pagamento. Può capitare anche che la società chieda una quota pecuniaria per giocare, in altre può capitare che il giocatore sia costretto a pagare di tasca propria i costi di trasferta.
Tutto questo avviene al momento della firma. Quando il giocatore sta per firmare il contratto arriva la sorpresa: “Guarda per stare qui comunque devi pagare un tot al mese”. Una sorta di retta vera e propria. I casi dei giocatori fuori regione nelle dilettanti è limitata a pochi episodi perché le risorse sono per lo più “in casa”.
Abbiamo chiesto un intervento ad uno degli allenatori che ha costruito la propria carriera ed il proprio nome lavorando per venti anni nei migliori Settori Giovanili della Campania come Puteolana 1909, Posillipo, Pro Calcio Napoli, Arci Scampia, Arzanese, Pasquale Foggia. Si tratta dell’ex Savoia e Real Albanova Marco Miserini: “Le Federazioni devono fare dei controlli. È inammissibile una situazione del genere, specie in campionati professionistici. Si gioca con i sentimenti e i sogni di tanti giocatori, si specula sui sacrifici dei genitori. In tutto questo, che è l’aspetto più grave, ci sta anche da considerare che non si potrà mai avere realmente un livello giovanile veritiero. Spesso chi può pagare non ha il talento e chi non può ma ce l’ha è alla finestra ad aspettare una chiamata, quella fortunata. Si deve denunciare per far lavorare al meglio le Federazioni affinchè evitino queste situazioni. L’omertà non aiuta nessuno”. Una soluzione per il problema potrebbe essere: “Non tanto nel contributo più alto, o più basso quanto cambiare totalmente la mentalità Bisogna capire che il Settore Giovanile non è una spesa, non è un fardello ma è un investimento, una risorsa. Se una società investe nel proprio vivaio può avere un tornaconto molto alto. Quando un giocatore vale è importate portarlo in prima squadra e valorizzarlo, farlo emergere. Magari finisce sotto sui taccuini di tante squadre di Serie A o di Serie B, ma addirittura dell’estero e a quel punto la plusvalenza resta nelle tasche della società. Possiamo fare diversi esempi di questo tipo: Macheda, Trotta, Rossi. I soldi arrivano, seppur non in larga parte, ma se schierassero i giovani avrebbero anche altri contributi sempre previsti della Legge Melandri: il minutaggio dei giovani”. Una precisazione ed una conclusione importante: “Mi sento di suggerire ai genitori di lasciare maggior libertà ai propri ragazzi. Pagare non serve a nulla, non bisogna forzare. Anche se hanno 17 anni è importante che i ragazzi non lascino la scuola perché anche se dovessero sfondare non è detto che la loro carriera decolli. Di casi ce ne sono tanti. Prima di tutto devono ricordarsi che il calcio è uno sport e deve essere vissuto con spensieratezza e libertà. Se è bravo la chiamata della vita la riceverà lo stesso”.
Cristina Mariano
(sportcampania.it)