Diego Maradona junior, ha abbracciato suo padre Diego Armando quest’anno per la prima volta, a trent’anni. Nato dalla relazione del Pibe con Cristiana Sinagra, dapprima non riconosciuto, poi riconosciuto ma mai accettato da Maradona. Il nodo è stato sciolto, e padre e figlio si sono uniti finalmente. Diego Maradona Junior ha rilasciato alcune dichiarazioni a Il Mattino. “Ho abbracciato mio padre. Prima non era mai accaduto. Quando mi hanno chiamato dall’Argentina facevo fatica a mettere insieme i pezzi di una storia che stava appena iniziando. Non immaginavo che dietro l’invito di una televisione di Buenos Aires si potesse nascondere il lieto fine”.
Probabilmente dietro questo incontro c’è stato lo zampino di Rocio, l’attuale compagna di Maradona. “All’inizio non volevo crederci, preferii non farlo. Troppe volte le mie aspettative erano rimaste senza risposta”.
Come quella volta nel 2003, a Fiuggi. Diego a giocare su un campo da golf e l’erede maschio nascosto tra gli alberi per rubare un abbraccio. “Fino a quel giorno lo avevo visto soltanto in televisione. Avevo voglia di incontrarlo, decisi da solo e mi mischiai sui prati. L’impatto fu difficile, poi si sciolse e chiacchierammo. Ci lasciammo con la promessa di rivederci”.
Non andò così. Tredici anni di alti e bassi, più bassi che alti. Accuse, mezze frasi, incomprensioni. “Poi all’improvviso quella telefonata che ha cambiato la mia vita e il mio rapporto familiare. È stata un’emozione unica, non si può descrivere”.
Se pure si potesse, non lo racconterebbe giusto? “Infatti. Quello che ci siamo detti resterà sempre tra noi due”.
Se l’aspettava a trent’anni? “Forse un po’ di anni prima. Però non ho mai smesso di lottare e di crederci. Sapevo che quando accadeva, tutto cambiava”.
E andata proprio così? “Beh, mica è roba di tutti i giorni che padre e figlio si ricongiungano dopo trent’anni. È stato bellissimo”.
Infanzia, adolescenza e parte della gioventù senza un genitore così famoso ma così lontano. “Mi ha aiutato il pensiero che prima o poi la situazione avrebbe preso una piega favorevole. Più che il pensiero, la speranza. Il suo comportamento non poteva essere lo specchio della realtà”.
Però per trent’anni non c’è stato. “Forse era circondato da persone che lo consigliavano male”.
Torniamo indietro: arriva il messaggio che papà vuole incontrarla. “E il mio cuore scoppia. Ero certo che sarebbe successo ma non immaginavo quando. Il mio vero nemico è stato il tempo, non mio padre”.
Quale idea si era fatto di lui in tutti questi anni? “Esattamente per come si è manifestato e per quello che è. Non come lo dipingevano alcuni”.
Chi sarebbero questi… alcuni? “Lasciamo perdere. Nessuno, però, della mia famiglia. In certi discorsi Diego sembrava quasi un mostro, una persona inavvicinabile, antipatico, privo di sentimenti e che mai si sarebbe riavvicinato a me”.
È esattamente l’opposto? “Io lo trovo una persona normalissima. Il nostro è un comune rapporto tra genitore e figlio, senza fronzoli e senza eccessi. Se c’è una cosa che mi ha colpito più di ogni altra, è proprio il suo comportarsi da semplice padre”.
Si sarà stravolta anche la sua vita, immagino. “Sotto alcuni aspetti sì. Mi riferisco alla sfera degli affetti familiari, credo che sia una conseguenza naturalissima. Il resto è rimasto pressoché immutato: continuo a vivere a Napoli e giocare al calcio”.
Sapendo di avere un papà che vive dall’altra parte del mondo. “Questa è la sua vita e il suo lavoro. Quando era nel Napoli, non l’ho mai incontrato. Negli ultimi mesi capita molto spesso”.
Tra Dubai e l’Argentina? “Non solo: ci siamo ritrovati a ottobre per la partita della Pace allo stadio Olimpico. Ogni tanto trascorriamo periodi più o meno lunghi insieme, come adesso. Frequentemente sono in Argentina”.
Festività a Buenos Aires? “Famiglia riunita, siamo tutti qui. Io con mia moglie, lui con la fidanzata e le altre figlie. In giro, a casa, qualche escursione, partite di calcetto”.
Quanto c’è di consueto nella quotidianità tra un genitore e un figlio che si sono riavvicinati dopo trent’anni? “Tutto quello che facciamo rientra nella normalità, anche le cose più banali. Una passeggiata, ad esempio, o guardare un film”.
Parlare di calcio è l’argomento più ovvio? “Ma non è l’unico. Vediamo le partite insieme, commentiamo, ci alleniamo con il pallone o indossando tuta e scarpette per fare footing”.
Il Napoli è il comune denominatore? “C’è bisogno di dirlo? Tifosi pazzi tutti e due degli azzurri”.
Un genitore istruisce, detta regole, suggerisce. “Noi parliamo tantissimo. Gli chiedo consigli, ovvio. Risponde dicendo come la pensa su certe questioni lasciandomi libero di prendere la decisione finale”.
Attaccati al telefono quando siete distanti migliaia di chilometri? “Ovvio, oppure qualche videochiamata. Sms, WhatsApp. Dipende dai suoi spostamenti e dal fuso orario: quando in Italia è pomeriggio, a Dubai è già sera. Così può capitare di saltare qualche giornata”.
Dopo le feste di fine anno vi rivedrete a Napoli. Il 16 gennaio l’appuntamento è al San Carlo per lo spettacolo teatrale che celebrerà i trent’anni dal primo scudetto. “Papà arriverà il 13 e resterà tre giorni. Non vediamo l’ora”.
Dovete riguadagnare trent’anni persi. “In un certo senso sì. Non c’è paragone con il passato: prima non avevamo alcun tipo di contatto rispetto alla vita di tutti i giorni di oggi”.
Storta va e dritta viene. “Meglio tardi che mai: si dice così, no?”.