La favola di Fabio Pisacane – mai titolo di una biografia fu più indovinato – è una favola per davvero. Perché c’è il «C’era una volta» (ai Quartieri Spagnoli di Napoli) e c’è il lieto fine (il 18 settembre 2016 con l’esordio in serie A). Perché ci sono i buoni, come il papà Andrea, Massimo Rastelli e tutti quelli che hanno creduto in lui, e ci sono i cattivi, come il direttore sportivo del Ravenna Buffone che provò a convincere Fabio a vendersi una partita per 50 mila euro. Perché ci sono i momenti magici («Per tutto il periodo della malattia volli restare al buio. Una mattina dissi a mio padre: Alza la persiana. Ero guarito») e c’è la morale («Nascere poveri non vuol dire nascere delinquenti»). Ecco perché «La favola..A di Fabio Pisacane», scritto insieme ad Antonio Martone ed edito dal Graus editore (in vendita tra le fine del 2016 e l’inizio del 2017) sarà distribuito gratuitamente in tutte le scuole calcio e le scuole primarie e secondarie della Campania. Perché prima ancora di essere una favola, è una lezione di vita. Quella dell’attuale calciatore del Cagliari, nato e cresciuto nei Quartieri Spagnoli di Napoli. «In quel periodo, tra il 1990 ed il 1996 c’è stata forse la più grossa lotta di camorra nella zona. C’era quasi un morto sparato al giorno. Non rinnego le mie origini. Non lo farò mai».
Oggi però ha coronato il suo sogno, quello di giocare in serie A, dopo aver vissuto una vita in continua lotta con il destino. «Erano le 7,30 del 9 settembre 2001, come consuetudine mi svegliai per fare colazione e poi vestirmi per andare al campo per l’allenamento mattutino con la squadra del settore giovanile del Genoa. Già dai primi movimenti percepii subito che qualcosa non andasse. Mi sentivo le braccia senza forze».
Erano i primi sintomi della sindrome di Guillain-Barrè: progressiva e rara paralisi degli arti che può sfociare nel coma e nella morte. Può. E questa possibilità è stata la vera forza di Fabio, che assistito costantemente dal papà Andrea, ha lottato nell’ospedale di Savona fino al 18 dicembre 2001, quando finalmente è uscito da lì sulle sue gambe. «Qualche ora dopo chiesi a mio padre cosa avesse voluto dire esattamente quando mi disse: O usciamo entrambi da questo ospedale o non esce nessuno dei due. Lui rispose, guardando la finestra dell’ultimo piano dove ero ricoverato: che se non ce l’avessi fatta, si sarebbe buttato di sotto». Ma dopo la guarigione il calcio gli ha riservato altre sorprese: l’esordio in serie B nel 2005 in Genoa-Catanzaro, la Lega Pro e quella proposta del 14 aprile 2011 da parte del direttore sportivo del Ravenna (Buffone) che gli offrì 50 mila euro per pilotare il risultato del match con il Lumezzane (dove allora giocava Fabio). «Se avessi accettato quei soldi, dei quali avrei avuto bisogno come il pane, avrei rinnegato anche la mia famiglia oltre che i miei valori. Non mi vergogno a dire che la mia vita è stata difficile, ma è nelle difficoltà si acquista una dignità che non ha prezzo. Ecco, noi Pisacane siamo ricchi sotto questo aspetto». Da lì la denuncia e l’invito nel 2012 a partecipare al ritiro della Nazionale di Prandelli prima dell’Europeo in Polonia e Ucraina. Nel 2013, quando oramai tutto sembrava andare per il meglio, la rottura del crociato con la maglia della Ternana in serie B. Chiunque si sarebbe arreso, ma non lui. L’anno dopo trovò l’accordo con l’Avellino e da lì il grande feeling con Rastelli che con un sms l’ha convinto a partire alla volta di Cagliari. La promozione in serie A conquistata sul campo e poi l’esordio del 18 settembre scorso con quelle lacrime nel post partita che hanno fatto il giro del mondo. Domenica sfiderà il Napoli, la squadra della sua città, ma per la quale non fa il tifo perché fin da bambino ha deciso di non tenere per nessuna sua possibile avversaria sul campo. Ecco perché ha scelto il Boca Juniors, la squadra di Batistuta e Maradona ( i suoi idoli d’infanzia). Ma non per questo domenica non sarà la sua partita: a 30 Fabio Pisacane potrà scrivere un altro capitolo della sua incredibile favolA.
Fonte: Il Mattino