Negli anni ’90 il ruolo di regista davanti alla difesa non era ancora in voga, ma tra i calciatori che lo interpretarono già alla perfezione era il calciatore del Milan Demetrio Albertini che ha rilasciato un’intervista attraverso il Corriere dello Sport.
Come definisce il suo ruolo? «Il regista è il giocatore che si diverte a veder giocare gli altri. Ed è pure quel giocatore che passa un pallone dove c’è scritto sopra cosa deve fare chi lo riceve: “tira in porta”, “ridammelo”, “allarga il passaggio”».
Vista la complessità dei compiti, non è un ruolo per giocatori esperti? «Sì. Si arriva in quella posizione dopo un percorso. Basta vedere Pirlo: ha cominciato da mezza punta e poi è diventato centrocampista centrale».
Allora come si spiega nel nostro campionato questa ondata di registi ragazzini? «Perché oggi, per fortuna, si tende a valorizzare quel tipo di giocatore fin dall’inizio. Un tempo non era così. Ma l’esperienza serve perché chi occupa quella posizione deve dettare i tempi e la responsabilità è notevole».
Qual è il rischio che corrono i giovani? «Prendo il mio esempio. Quando uno non è ancora maturo, ha per forza dei cali di condizione. A me è capitato nel Milan, ma la mia fortuna era che al mio posto giocava uno come Ancelotti. Io restavo un po’ in panchina partite e poi rientravo in squadra senza problemi».
Fra i giovani di oggi, chi è il regista classico? «E’ difficile da stabilire. La mia generazione, che comprendeva fra gli altri Dino Baggio, Di Biagio e Di Matteo, ha modificato il lavoro del regista, siamo stati i primi a fare le due fasi, la costruzione e l’interdizione. Prima era diverso, prima c’erano Antognoni e Giannini che alle spalle avevano sempre un mediano. Per dire chi è il più classico bisognerebbe sapere cosa chiede l’allenatore: se una squadra è votata all’attacco serve un certo tipo di centrocampista centrale, se si preoccupa di più della fase difensiva ne serve un altro tipo».
Diawara, e come lui molti altri giovani di questo ruolo, ha mostrato una personalità incredibile: chiede la palla a giocatori assai più esperti di lui e la gioca come se fosse padrone della scena. «Attenzione, la linea che separa la personalità dalla presunzione è molto sottile, ma non parlo di Diawara, lo dico in generale. Non siamo noi osservatori esterni a stabilire se quel giocatore ha personalità o meno, sono i compagni: se gli danno la palla, vuol dire che lo riconoscono come guida e che negli allenamenti il ragazzo ha conquistato la loro fiducia. Noi, da fuori, possiamo aiutarli a crescere facendo in modo che non perdano la spensieratezza e ci possiamo riuscire se non li trasformiamo in campioni da celebrare solo dopo poche gare di Serie A».
La Redazione