E ora chiamatelo pure “Gorellik”. Per la sua seconda giovinezza Piergraziano Gori ha pensato di ispirarsi a Claudio Garella, già proprio il portiere che le sue migliori parate le faceva coi piedi: «Ci ha vinto due scudetti giocando in quella maniera, uno col Verona e l’altro col Napoli: vuol dire che non è un metodo sbagliato», sospira il portierone tarantino che dopo otto stagioni in giallorosso si sta ritagliando un ruolo part-time all’ombra del fenomeno Cragno, titolare della Nazionale Under 21. L’altra sera a Terni ha timbrato la sua 210ª presenza col Benevento. Ha trascorso tre quarti di partita senza doversi impegnare molto, poi i suoi compagni hanno chiesto un aiutino per portare a casa i tre punti e lui si è fatto trovare pronto come sempre. Un riflesso felino su una deviazione sotto misura di Defendi, poi due parate di piede, prima su Di Noia, poi sul giovane Di Livio: «La più difficile è stata proprio l’ultima effettuata sul “figlio d’arte”: il pallone era passato tra le gambe di Lucioni e Pezzi e l’ho vista proprio all’ultimo momento. Per fortuna veniva dalle mie parti e sono riuscito a respingere». Ma perché coi piedi? «Tante volte è il modo più efficace per respingere un pallone che altrimenti andrebbe dentro. Interessa poco se si è sgraziati, l’importante è evitare di subire gol».
PRONTI. Terza partita della stagione, molto diversa dalle prime due. Non solo per via della vittoria: «Sì, è vero. Ho saputo di dover giocare solo un giorno prima della gara. Pensavamo tutti che la Figc concedesse la deroga ad Alessio (Cragno) per giocare la partita di campionato e poi partire con l’Under 21. Invece non è stato così ed è toccato a me. Non è semplicissimo entrare in gioco così, più che altro è un fatto mentale. Ma so benissimo qual è il mio ruolo e mi ci sto abituando». Un portiere ha bisogno di continuità e per ritagliarsi un ruolo part-time ci vuole grande esperienza e concentrazione: «Sì è così, ti manca la partita, sembra di non riuscire ad avere le misure della porta. Bisogna farsi trovare sempre pronti, non c’è un segreto per questo: io lavoro sempre come se il sabato dovessi giocare». Accade così che si diventa il migliore in campo in una partita che il Benevento avrebbe potuto vincere a mani basse: «Beh, capita. La squadra ha giocato benissimo per tre quarti di gara, avrebbe potuto fare più di un gol e io sarei stato più tranquillo. Ma, come si dice nel nostro mondo, queste vittorie sofferte sono sempre le più belle. Certo, sarebbe bastato un episodio, un rimpallo, per rovinare tutto. Ma non è accaduto ed è finita bene. Grazie al grande sacrificio di tutti».
Corriere dello Sport