Il Napoli non sa gestire le partite, non ha un possesso-palla difensivo, sa solo andare avanti. Insomma un progetto, una felicità e un «mea culpa» condivisi come raramente accade. Ecco, allora, la differenza col Napoli di Mazzarri, il primo Napoli in Champions, una squadra più rude, più votata in difesa avendo all’attacco Lavezzi e Cavani, più attenta e attrezzata a contrastare l’avversario. Non una formazione-spettacolo, ma un po’ di calcio all’italiana con risultati eccellenti (un secondo e un terzo posto nei quattro anni di Mazzarri), molti sbracciamenti a bordo-campo, sempre qualche tremore non imponendo il gioco, subendolo e partendo di rimessa con le cavalcate del Matador e i guizzi del Pocho. Più il tormento del turn-over. Quel Napoli arrivò agli ottavi di Champions cedendo ai supplementari contro il Chelsea allo Stamford Bridge. Un grande traguardo. Con Benitez arrivò la «rivoluzione internazionale». Perduto Cavani, ecco Higuain, Reina, Albiol, Callejon, Mertens. Rafa era il miele che attirava giocatori di valore. Una svolta. Ci sentimmo il Real Napoli. Un nuova squadra (terzo e quinto posto), una promessa di luci della ribalta, ambizione e recita da grande compagnia del football. Ma, forse, una squadra sbilanciata. Al secondo anno di Benitez, anche un idillio al tramonto lasciando l’orgoglio dei 12 punti in Champions, ma anche una confusione di ruoli e avvicendamenti. Titolarissimi e scartine. Mazzarri e Benitez contarono sui gol di Cavani e Higuain. Molta palla lunga e pedalare. Con Rafa anche un certo aplomb europeo. Sarri ha puntato sul gioco tanto da assorbire la partenza del Pipita a conferma di un’Arcadia azzurra. Fonte: Il Mattino