De Laurentiis e Zamparini i “re” delle plusvalenze! La storia Cavani, Dybala e Higuain: di fronte due assi degli affari

Zamparini, 75 anni, è il più vecchio presidente della serie A. Aurelio De Laurentiis, 67, il terzo più vecchio (dopo Enrico Preziosi, 68). Zamparini, imprenditore friulano del ramo immobiliare, commerciale (venti centri commerciali in Italia e Croazia) e turistico, nel calcio da quasi trent’anni (padrone e presidente del Venezia nel 1987), presidente del Palermo dal 2002 (va dove ti porta il cuore dell’affare), ha l’aria abbronzata di un vecchio bucaniere. De Laurentiis, hollywoodiano di eclatante discendenza cinematografica di Torre Annunziata, potrebbe sembrare Babbo Natale (ma i tifosi dicono che porta pochi doni). Apparso nel calcio nel 2004 con la sicurezza dell’io sono io e voi non siete una mazza, guida il Napoli da dodici anni. Non sono né il vecchio, né il nuovo del calcio. Il nuovo, anzi il nuovissimo sono i cinesi di Milano, il bostoniano Pallotta di Roma, il canadese Saputo del Bologna. Il nuovissimo del calcio come investimento, affare, utili. Esportiamo allenatori, importiamo danaro (proprietà e presidenze). Il vecchio è tramontato da tempo. Perché se, come dice una vecchia canzone, gli anni passano, i bimbi crescono e le mamme imbiancano, il calcio cambia col mondo che cambia. Passione e mecenatismo sono come il comunismo. Roba del secolo scorso che non c’è più. Li chiamavano ricchi scemi i presidenti di calcio che per passione, ricerca della popolarità e interessi personali entravano nel pallone rischiando in proprio o attraverso le loro aziende. I Moratti sono durati 29 anni all’Inter, i Viola e i Sensi 30 anni alla Roma, i Mantovani 21 anni alla Samp, Pianelli 19 anni al Torino, Lenzini 15 anni alla Lazio, Ferlaino 33 anni al Napoli. Per età, ma più ancora per incapacità a reggere lo stravolgente business del pallone moderno, hanno gettato tutti la spugna. Zamparini e De Laurentiis non sono né ricchi scemi, né… cinesi. Cercano di far quadrare i conti nel calcio. Zamparini ci rimette qualcosa (70,5 milioni nel Palermo «perché il calcio è la mia passione»), De Laurentiis è in attivo. Il calcio italiano è in rosso per 1,7 miliardi. Pure, attrae capitali esteri perché, azzerando i debiti, un club italiano medio-alto è un affare. Lo ha fatto De Laurentiis che, dopo avere risolto la situazione debitoria del primo investimento per rilevare il Napoli dal tribunale fallimentare, ha inanellato una serie di bilanci positivi sino a ricavarne sostanziosi dividendi per il consiglio di amministrazione della società. In questo De Laurentiis e Zamparini sono diversi. Il primo è un freddo imprenditore dell’azienda-calcio moderna riscuotendo buoni risultati sul campo. Il secondo cede a qualche debolezza tecnica scommettendo sulle sue idee di calcio, sugli allenatori (licenziandone 57 in trent’anni), su giocatori e tattiche di gioco pagandone i fallimenti. Perché Zamparini vorrebbe essere lui l’allenatore. De Laurentiis non ci pensa, ma ogni tanto dà qualche suggerimento perché crede ormai di avere imparato. L’uno e l’altro, in ogni caso, vivono di contestazioni. Sono due personalità forti, disposte allo scontro. Tengono a distanza le tifoserie perché nessuno più di loro ne capisce e sa quello che bisogna fare. Zamparini è più incantatore, De Laurentiis più arcigno. Il friulano è da supermercato del calcio, l’hollywoodiano da studio notarile del pallone. Zamparini ha il fisico di un attore in pensione, De Laurentiis la rotondità degli ottimisti. Il primo è pronto a vendere il Palermo (stima 80 milioni) ad americani e cinesi, restando presidente onorario. I secondo non venderà mai fino a che bilanci e risultati sul campo lo conforteranno. Nel cinema di Humphrey Bogart e Cary Grant, Zamparini avrebbe avuto una parte di simpatica canaglia. De Laurentiis sembra più appropriato per un ruolo nel cinema dei telefoni bianchi, ma anche, e forse soprattutto, per uno dei film al posto di Edward G. Robinson. Nel calcio, sono i presidenti delle plusvalenze. Affari d’oro ha fatto De Laurentiis che ha ricavato 124 milioni dalle cessioni di Lavezzi (+24), Cavani (+47) e Higuain (+53). Zamparini ha preso molto di meno dalle cessioni di Amauri (+14), Cavani

(+17), Dybala (+20) e Vazquez (+10,5). A De Laurentiis il saldo altamente positivo è servito per tenere il Napoli ad alto livello, seconda squadra per punti negli ultimi cinque anni dietro la Juve, tre volte in Champions. Il Palermo di Zamparini ha conquistato tre volte il quinto posto, sua migliore classifica (2005-06, 2006-07, 2009-10), ha disputato una finale di Coppa Italia (2011) e partecipato a cinque edizioni della Coppa Uefa/Europa League. Ma è anche retrocesso in B. Da un certo punto di vista, De Laurentiis è il saggio e Zamparini uno scapestrato, ma, poi, non tanto, perché piombato in Sicilia col calcio, nell’isola ha arricchito il suo patrimonio con costruzioni e centri commerciali. Questo gli ha consentito di rimetterci col Palermo, ma non è stata una cifra dolorosa per uno che, nel 1994, finanziò il Movimento sociale italiano con due assegni da 250 milioni di lire. Non si sa se tra i due ci sia una vera amicizia, ma, incontratisi nel calcio, pare che abbiano simpatizzato al punto che Zamparini cedette Cavani a De Laurentiis e gli avrebbe ceduto anche Dybala se il giovane prodigio argentino non avesse preferito la Juventus. Sicuramente, sabato sera, se De Laurentiis seguirà il Napoli, sarà un incontro di sorrisi e strette di mano. Aurè. Maurì. Uno che vorrebbe fare il papa nel calcio, l’altro che s’accontenta di esserne un vescovo. I fratelli Materassi del pallone, incantati dalle luci degli stadi. Zamparini a cavalcare la tigre con romantica padronanza, un po’ Don Chisciotte. De Laurentiis, che il pallone ha rivelato al mondo, cavalcandola come Sancho Panza.

Fonte: Il Mattino

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