Si comincia dalla fine, dai centoquattro gol (meno undici dal record di Maradona) che valsero la gloria, da quella zampata all’Olimpico che celebrò una stagione fantastica e consegnò definitivamente la qualificazione in Champions League ed anche la classifica cannonieri. La Cavani-story è un’emozione dietro l’altra, clip che restano nella memoria e/o che inondando il web, per alimentare la nostalgia: la rete al Lecce (93’) che trasforma una probabile sconfitta (salvataggio sulla linea di Grava un minuto prima) in vittoria (capolavoro di prepotenza dai trenta metri, con bolide all’incrocio); o anche il colpo di testa alla Steaua Bucarest, che vale la qualificazione ai sedicesimi d’Europa League; il contropiede letale a Manchester, in casa del City, nel debutto in Champions o la tripletta alla Juventus.
Cavani è un affare tecnico ma anche economico, perché quando De Laurentiis lo acquista dal Palermo nell’estate del 2010 mette i soldi sul tavolo, e parevano tanti (diciassette milioni di euro, tre immediatamente, il resto nel successivo triennio) ma studia pure una clausola, a quel tempo impronunciabile (sessantaquattro milioni di euro). Cavani è la sintesi del gol immediatamente rappresentata nella sua prima stagione partenopea, che sembra irripetibile e che invece rappresenta solo un anticipo: sono trentatré reti (ventisei in campionato il resto tra le Coppe) ma anche nove assist. Il Cavani-bis non tradisce, ma ripete se stesso, segna meno in campionato (ventitré) ma tra Champions (cinque) e Coppa Italia vinta (cinque), ci sono le stimmate d’un goleador che non si ferma più, che sta scalando il calcio e che comincia ad essere inseguito dagli sceicchi: i primi sono russi e De Laurentiis dice di no ai cinquanta milioni dello Zenit. Ma il meglio deve ancora venire, nel Cavani-ter c’è la sontuosa interpretazione d’un bulimico centravanti da trentotto gol (quanti nell’ultima stagione di Higuain): ne arrivano ventinove in campionato, gli altri sono sparsi qua, nell’universo-Napoli, che lo osserva partire per Parigi asciugandosi le lacrime poi grazie al Pipita. Ma il calcio è (anche) nemesi….
Fonte: CdS