Quando si parla di Napoli, si parla inevitabilmente di tre cose: o’ sole, o’ Vesuvio e o’ mare. Ecco proprio quest’ultimo sarà il tema centrale della nostra storia. Forse non tutti sanno che il primo scudetto in uno sport a squadre è arrivato a Napoli molto prima di Diego Armando Maradona. Nel 1905 sei cape pazze fondarono tra via Partenope e via Nazario Sauro la società che sarebbe poi diventata la capofila negli sport acquatici partenopei: la Rari Nantes Napoli.
Nati dieci anni prima degli acerrimi rivali della Canottieri Napoli, il Circolo Rari Nantes prese l’attuale denominazione soltanto 1927, quando i suoi membri iniziarono a cimentarsi in ciò che dall’altra parte della manica chiamavano water polo. La pallanuoto, però, faticava a prendere consensi e fama in un paese fatto a metà tra calcio e ciclismo, rendendo addirittura impraticabili alcune competizioni per mancanza di partecipanti. Eppure, nonostante il basso livello del campionato, all’ombra del Vesuvio giunse un magiaro dal fisico imponente e prestante, all’anagrafe Bandy Zolyomy, pallanuotista con la P maiuscola e fautore del salto di qualità della Rari Nantes.
Così, dopo due stagioni passate a crogiolare le proprie delusioni sul secondo gradino del podio, la Rari Nantes supera i colossi Florentia e Cavagnaro, strappando nel 1939 il primo storico titolo. Sette vittorie su sette e una squadra composta da sette fuoriclasse: l’allenatore-giocatore Zolyomy, Pasquale Buonocore, Emilio Bulgarelli, Gildo Arena, Giovanni De Silva, Enrico Fortunati e Mimì Grimaldi. Fu proprio quest’ultimo a coniare il termine Settebello. Mimì era indubbiamente il più guascone e sciupafemmine del gruppo. Infatti, mentre i ragazzi facevano ritorno da una trasferta sulle coste toscane, sul treno d’un tratto salirono un gruppetto di ragazze tedesche. Il nostro Mimì (fine conoscitore dell’arte dell’acchiappanza) provò allora un tentativo di approccio, utilizzando quelle quattro parole in lingua tedesca che aveva afferrato l’anno prima a Berlino, durante i giochi olimpici: «Wir sind sieben schon», «Siamo sette belli». Il tentativo fu inizialmente vano, ma poi grazie all’intervento del prestante Bulgarelli le ragazze decisero di intrattenersi amichevolmente con la squadra.
Poco tempo dopo, lo stesso Mimì consacrò poi definitivamente quel termine che da sempre distingue la nostra nazionale nel mondo: nel pieno di una partita a scopa con l’amico Pasquale Cangiullo, il quale rivendica per sé il tanto agognato sette di danari, Mimì agita il dito e pronuncia sornione: «E no, caro mio. Tu non hai preso il Settebello, il Settebello siamo noi».
Il termine Settebello sarà sempre affibbiato a quella squadra. Il Littoriale, il giornale del regime, recitava così in prima pagina dopo lo scudetto della Rari Nantes nel 1939: «La vittoria del “sette bello” premia una squadra ed una società che da anni inseguivano il primato con inesausta passione sino a giungere all’ambito successo». Quel gruppo vinse cinque titoli a cavallo della Seconda Guerra Mondiale, prestando alla nazionale italiana dei giochi olimpici londinesi del 1948 tre giocatori e il relativo soprannome, consacrato in quel caso dal radiocronista Nicolò Carosio che fece suo il suggerimento del napoletano Gildo Arena: «Signor Carosio, ci chiami Settebello». L’avventura inglese si concluse con 11 reti dello stesso Arena e con l’inevitabile oro olimpico per gli azzurri.
Dopo i fasti degli anni ’30 e ’40, la sede della Rari Nantes Napoli mutò da baracca a salotto mondano, tra eventi di alta borghesia e i celebri poker con l’esiliato Fārūq I d’Egitto e Vittorio De Sica, ostinato giocatore d’azzardo. Oggi quella squadra è un ricordo lontano, quasi sfocato nel tempo, ma ogni volta che sentirete quel termine, ogni volta che metterete giù quel benedettissimo sette e’ denare, ricordate le parole di Mimì Grimaldi: «[…] il Settebello siamo noi».