Guido Clemente di San Luca, docente di diritto amministrativo presso la Sun
* Lontano, nei silenzi del mare dell’isola greca dove da anni trascorro le vacanze, per ritemprarmi dalle fatiche invernali, tutto sembra sfuocato. Anche il dolore per una fuga vigliacca pare sordo. Da Napoli gli amici mi inviano messaggi del tipo: «La città è sotto shock». Tim, un caro amico inglese, giornalista della Bbc in pensione, che condivide da anni la stessa vacanza allietandone le serate con la sua versatile chitarra tifoso del West Ham e coinvolto da me sul Napoli (lo scorso campionato è venuto al San Paolo per Napoli-Bologna: 6 a 0!) , una sera passa accanto al tavolino del bar dove consumo la consueta tisana alla salvia (che rende il sonno più leggero) e mi fa in italiano: «Higuain alla Juve? Ma che…» Devo pensarci e trovare una spiegazione. Non è sufficiente essere argentino per fare scopa con Napoli! Devi essere anche plebeo. Se sei borghese non ti è dato capire la città. Ci eravamo illusi. Credevamo che la storia napoletana di Gonzalo potesse rinverdire una esperienza già vissuta, inverare di nuovo quel diventare simbolo della passione speciale per la squadra che è parte integrante della città: il Napoli, in cui bene o male, tifosi e non, comunque ci identifichiamo, e al quale, più o meno consapevolmente, chiediamo di rappresentare l’orgoglio della nostra terra. Higuain si è dimostrato indegno delle nostra fede e della nostra speranza. Ha deluso le aspettative riposte in lui. Ha negato a se stesso la bellezza del suo rappresentare simbolicamente un popolo: El Diez, El Pelusa, argentino plebeo, seppe cogliere l’amore e corrisponderlo per sempre. Higuain, argentino borghese, non ha capito la bellezza di «difendere la città». Nonostante avesse ricevuto prove pari a quelle avute dal suo immenso predecessore. Questa storia esprime emblematicamente la rarefazione dei sentimenti, in un mondo mercificato addirittura oltre il dio denaro. In fondo, gli odiati zebrati gli fanno un contratto pari a quello offertogli da De Laurentiis. Dunque non è solo per soldi. È per il desiderio di vittoria e potere, quel potere che noi qui vogliamo sconfiggere senza usarne le armi subdole e vili. Romanticamente attaccati a un sogno: batterli restando noi stessi, rifiutando indignati la loro protervia, arroganza, scostumatezza, conservando la nostra essenza peculiare, che resiste al modello omologante della globalizzazione. Vogliamo provare a coltivare ancora, per quel poco che sia possibile, i sentimenti. Tu, Gonzalo, c’hai rinunciato, tradendo la terra che avevi cantato di voler difendere! Povero te! Hai perduto una grande occasione! Perché avverto un strano non so che: che tu lì fallirai l’obiettivo, e noi qui, in tuta, riusciremo a coronare il sogno… E quella vittoria sarà per te, per la tua banale aridità, un dolore inimmaginabile e un rimpianto infinito!”