Lacrime di gioia, di disperazione, di commozione. Lacrime dopo una sconfitta, lacrime di consolazione, lacrime di felicità dopo una vittoria. Il pianto, da sempre simbolo erroneamente e maschilisticamente legato al mondo femminile, unico essere umano in grado di mostrare ma soprattutto provare sofferenza, ha finalmente assunto un’essenza diversa.
Da debolezza a dimostrazione di forza, coraggio, passione, umanità.
Chiunque non sia solamente calciofilo ha negli occhi l’immagine di Lebron James, star dei campioni NBA dei Cleveland Cavaliers che, dopo la sirena di gara-7 di finale contro i favoriti Golden State Warriors si è inginocchiato e ha posato la sua armatura da Iron Man da oltre 200 centimetri e 100 kg sul parquet, dove si è abbandonato ad un pianto liberatorio mai visto in precedenza. Lo ha fatto perché vincere non è mai un processo frutto del caso, ma sempre di abnegazione e sacrificio. Lebron James negli anni si è dovuto togliere di dosso l’etichetta di perdente, di chi per vincere si era dovuto “alleare” con altri campioni perché da solo non ci sarebbe riuscito. Dopo aver vinto a Miami, invece, il nativo di Akron è tornato a casa, nella sua Cleveland, ed ha finalmente vinto da protagonista assoluto, liberando tutta la sua stanchezza fisica ma soprattutto psicologica in quelle lacrime immortalate in tutto il mondo.
Mai come in quest’epoca “piangono solo i deboli” è un’immagine che riflette malamente la realtà delle cose: in questi Europei abbiamo visto piangere il nostro simbolo più grande, Gianluigi Buffon, che fiero di quanto fatto e dimostrato dalla Nazionale di Antonio Conte si è sfogato nell’immediato dopo-partita di Italia-Germania, dando un segnale di enorme umanità, caratteristica che quasi mai attribuiamo agli sportivi, dimenticandoci che spesso possiedono una personalità complessa almeno quanto la nostra.
Ma la dimostrazione lampante di questa trasformazione dell’immagine dell’uomo che non piange mai è arrivata proprio nell’atto conclusivo in Francia: l’uomo bionico per eccellenza, Cristiano Ronaldo, dopo aver subito un colpo da Payet si accascia al suolo dolorante e, vedendo vicina la possibilità di lasciare il campo nella gara forse più importante della sua carriera, si lascia andare ad un pianto al quale neanche i compagni di squadra riescono a porre consolazione. Ma quelle stesse lacrime, di disperazione e frustrazione, si trasformano in lacrime di gioia a fine gara, quando il suo Portogallo si laurea per la prima volta campione d’Europa. Due pianti diametralmente opposti, lontani circa cento minuti l’uno dall’altro, ma che evidentemente tanto diversi non sono: piange Lebron James, piange Buffon, piange persino Cristiano Ronaldo.
Le lacrime sono ormai una dolce sinfonia da cui non bisogna più nascondersi.
Trattenere le proprie emozioni non è mai stato così sbagliato.
A cura di Marco Prestisimone