L’approfondimento di R. Muni: “C’era una volta il contratto…”

Fino ai primi anni novanta, i calciatori erano beni strumentali o pluriennali, di proprietà delle squadre di calcio e, queste ultime, erano libere di comprare e vendere giocatori incuranti delle loro volontà. I calciatori, o meglio, i loro cartellini, erano dei veri e propri beni patrimoniali soggetti ad ammortamento sulla base degli anni di contratto. I calciatori, ad ogni modo, erano e continuano ad essere degli stipendiati dalle società di appartenenza. Infatti, per non essere fraintesi, stiamo parlando dei cosiddetti cartellini dei calciatori, ossia del diritto di beneficiare delle loro prestazioni sportive e godere dei loro talenti… Con la riforma delle società di calcio, i calciatori hanno acquistato voce in capitolo, decidendo essi stessi del proprio futuro. In altri termini, da figure a metà tra il dipendente ed il bene patrimoniale delle società di calcio (anche se il costo di acquisto continua ad essere ammortizzato come un qualsivoglia bene strumentale) sono diventati dei veri e propri liberi professionisti del pallone. Chi ha assunto un ruolo chiave con questa riforma, è la figura del procuratore sportivo, il manager del professionista in pantaloncini e scarpette, colui che ne cura gli interessi, le clausole contrattuali e, più in generale, tutte le più svariate beghe burocratiche. Purtroppo, tra i procuratori, sono non pochi gli uomini di parole e sempre meno quelli di parola. Basta una stagione positiva di un loro assistito (a volte anche solo una decina di partite buone sono sufficienti) che puntualmente il procuratore bussa a soldi alla porta del presidente. Spesso questi ultimi, pur di non rinunciare ai propri calciatori, finiscono per cedere alle richieste ed allargare i cordoni della borsa. In altri termini, soggiacciono a veri e propri ricatti. A dirla tutta, hanno ragione i presidenti che rivendicano maggiore rispetto degli accordi pattuiti e messi nero su bianco e che, allo stato attuale, i contratti hanno lo stesso valore della carta straccia. A ben pensarci, pare assurdo dover affrontare la questione del rinnovo contrattuale quando mancano due o più anni alla scadenza di quello in essere ma, questo assurdo, si verifica sempre più spesso. Se poi, con un pizzico di nostalgia, pensiamo che alcuni decenni fa era sufficiente una stretta di mano tra gentiluomini per ‘stipulare un contratto’, non si può che invocare il rispetto dell’istituto giuridico. Il caso più eclatante che si è verificato in casa Napoli è quello relativo alle dichiarazioni, a dir poco fuori luogo, rilasciate da Koulibaly. Con un contratto in scadenza tra tre anni, il centrale senegalese di Sarri, probabilmente mal consigliato dal suo procuratore, ha velatamente minacciato di andarsene se la società non gli avrebbe riconosciuto l’adeguamento dell’ingaggio sulla base della ultima brillante stagione. Qualcuno facesse capire a questi privilegiati dalla vita (poiché guadagnano tantissimo giocando a pallone!) che tra le persone comuni non funziona così. Dov’erano Koulibaly ed il suo procuratore un anno fa, dopo la stagione disastrosa del K2? Come mai non hanno proposto a De Laurentiis una riduzione dell’ingaggio adeguata al livello mediocre della stagione conclusa al quinto posto? Non ci sono molti dubbi sul fatto che questo atteggiamento, oggi sempre più frequente, rischia di mettere in ginocchio le società di media e bassa classifica a tutto vantaggio di quella ristretta elite del calcio che può vantare numeri ben diversi. Nei meandri di un mercato folle, con cui i presidenti cercando di fare cassa il più possibile, cercando di raschiare quanti più soldi possibili dagli acquirenti dei propri tesserati, il Napoli cerca di incastrare i tasselli utili per affrotare la prossima stagione da protagonista in Italia…con la champions a cui non si vorrebbe partecipare da cenerentola di turno. Avanti Napoli…Avanti!!!

 

Riccardo Muni

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