Il fisico è quello che è, ma nel calcio, per fortuna, anche nell’epoca dei muscolari pur non essendo dei corazzieri.
Il talento alla fine è quello che conta. E di talento Emanuele Giaccherini, l’eroe che non ti aspetti dell’Italia che non ti aspetti, ne ha da vendere. Tanto da indirizzare sui binari che più ci sono congeniali una partita che quasi tutti pensavamo quasi persa in partenza e che invece alla fine l’Italia ha vinto davvero alla grande, da squadra, da squadra splendidamente allenata da Antonio Conte, contro una delle più forti nazionali del momento. In Italia spesso ci piace dire che un attaccante è veramente forte quando lo vediamo rincorrere un avversario, aiutare la squadra in chiave difensiva, ecco, vedete, sta facendo proprio quello che gli chiede il suo allenatore dicono in questi casi i bravi telecronisti. Quindi molti daranno voti altissimi, e meritati, a quel suo strepitoso salvataggio sul finire del primo tempo, quando Giaccherini ha murato un tiro di De Bruyne che sembrava proprio destinato a risvegliarci dal sogno. Però, volete mettere la bellezza del suo gol: il lancio perfetto di quel fenomeno di Bonucci, l’aggancio con il sinistro, a far scendere la palla morbidamente sul destro e il tiro piazzato proprio là dove uno dei migliori portieri del mondo non poteva arrivare. Pura poesia. Toscano di Bibbiena, cresciuto calcisticamente in Romagna, la sua storia di calciatore importante nasce curiosamente a Castrocaro, dove una volta si teneva il famoso festival delle voci nuove, una fucina per la musica, alcuni dei più grandi cantanti italiani sono usciti da lì. Nell’estate 2008, durante un ritiro precampionato con il Cesena, tecnici e osservatori capirono che quel ragazzo aveva il quid. Nonostante una certa fragilità congenita, arrivò fino alla Juventus. Con Conte. Che lo ribattezzò Giaccherinho, per sottolinearne l’estro brasiliano. Non giocava molto, 40 presenze in due stagioni, la squadra bianconera stava crescendo, lui era considerato troppo piccolo. Non si perse d’animo: accettò di andare in Inghilterra. Una scelta coraggiosa vista la fisicità di quel campionato. Nel Sunderland, formazione di bassa classifica, giocava ancor meno che con la Juve e quando giocava si faceva male, gli facevano male. Per questo Prandelli, che pure lo aveva voluto in nazionale, non lo portò in Brasile. Una scelta di cui si sarebbe pentito pubblicamente. Tornato in Italia, al Bologna, Giaccherini ha ricominciato a divertirsi. Cambiando anche ruolo. Era attaccante esterno, prevalentemente. Con Donadoni si è spostato un po’ più indietro e più in mezzo, interno di complemento. Così lo sta impiegando anche Conte in nazionale. Una scelta controcorrente: in genere i giocatori con i piedi buoni in Italia vengono spostati in avanti, non indietro dove nasce il gioco. Giaccherini ha risolto una partita bella ed equilibrata, ridandoci quell’entusiasmo per gli azzurri che pensavamo quest’anno di non riuscire a provare. La difesa della Juve ha fatto il resto. Buffon, Barzagli, il gigantesco Bonucci, Chiellini. Baluardi di vecchia Italia. Un risultato da non credere. Il valore di mercato del Belgio, di calcio mercato naturalmente, secondo il calcolo dell’Osservatorio specializzato dell’Università di Neuchatel, è complessivamente di 550,2 milioni di euro. Il valore di mercato dell’Italia è di 327,6 milioni. Nel ranking Fifa, la classifica di rendimento delle nazionali, che molti contestano, ma qualcosa conta, in questo momento il Belgio è secondo, l’Italia dodicesima. Se il calcio fosse un’equazione matematica, non ci sarebbe stata partita. Ma il calcio, si sa, è imprevedibile, il pallone è rotondo, e così via. Fino a un certo punto, però. L’imprevedibilità, in casi come questo, ha una sua razionalità. Entrano in ballo fattori come la storia, le motivazioni, la voglia di stupire. Il Belgio nel calcio non ha mai vinto niente, l’Italia ha vinto tutto. Ecco perché non è stato un miracolo. Fonte: Il Mattino