Diego Armando Maradona: ” Appena iniziato il secondo tempo, ripetei il gesto che faccio sempre, ma questa volta con un’intenzione particolare: mi feci il segno della croce. Misi in gioco il pallone scambiando con Valdano. Non volevo perdere neanche un secondo. Volevo vincere quella partita a ogni costo, e sentivo che era arrivata l’ora di cambiare la storia. Dovetti attendere cinque minuti.Cinque. Non uno di più. Quando il «Vasco» (Olarticoechea) me la diede, dopo aver superato la metà campo con il piglio di un attaccante perché questo aveva di buono il «Vasco», era un difensore che giocava il pallone come un centrocampista e si inseriva come un centravanti , cominciai a puntare controllando il pallone in corsa, tagliando il campo in diagonale da sinistra verso il centro, tenendo gli occhi fissi sulla porta. Mi sembrava facile, davvero mi sembrava la cosa più facile saltarli e arrivare in fondo, perché i miei compagni erano tutti marcati… Io cercavo una maglia azzurra con cui triangolare, nient’altro, perché sapevo che poi sarei andato via da solo. Quando la diedi a Valdano, gli rimbalzò male e la controllò un po’ lunga, con Hodge al suo fianco. L’inglese lo anticipò. E in quel momento commise l’errore, che io non considero un errore perché in quel momento poteva solo dare la palla indietro al portiere, alzarla verso Shilton invece di rinviarla. Se Hodge avesse rinviato, il pallone non mi sarebbe mai arrivato. Mai. E invece mi cadde proprio lì, la vidi spiovere dall’alto come un palloncino. Ah, che regalo fantastico… «Questa è mia», dissi. «Non so se ci arriverò, ma ci provo. Se me lo fischia, pazienza…».Saltai come una rana, e fu la cosa che Shilton non si aspettava. Lui pensava, almeno credo, che gli sarei andato addosso (…) Arrivai più in alto di Shilton perché fisicamente ero forte come una bestia. Lui saltò, certo, ma io saltai prima, perché stavo già guardando il pallone mentre lui chiuse un attimo gli occhi. Shilton aveva l’abitudine di colpire il pallone con entrambi i pugni, e per colpire così ebbe un attimo di esitazione (…) Dico che nel salto sembro una rana perché ho le gambe piegate, divaricate, come quando stiri gli adduttori, di spalle a Shilton, e lì mi si vedono anche le costole. Si nota che non avevo neanche un grammo di grasso, e avevo le gambe forti. Tornato a terra, iniziai a correre quasi subito per esultare. Il pallone era partito fortissimo. Lo colpii con il pugno ma schizzò via come se l’avessi colpito con il sinistro invece che con la testa. Arrivò in fondo alla rete senza problemi. Fu un gesto fulmineo, tac, e non avrebbero mai potuto vederlo… Né l’arbitro né il guardalinee né Shilton, che rimase lì inebetito a cercare il pallone.Quello che se ne accorse fu Fenwick, che era il più vicino alla porta insieme a me. Ma oltre a lui niente, nessun altro. Abboccarono tutti, perfino Shilton, che non sapeva più neanche dove si trovava. Guardai l’arbitro, che non prendeva alcuna decisione; guardai il guardalinee, lo stesso. Io corsi via esultante. Decisi io che non avrebbero avuto il coraggio di decidere. Bennaceur, me lo raccontò in seguito, diede un’occhiata al guardalinee. E il guardalinee, che era il bulgaro Dotchev, a sua volta aspettava lui; non alzò la bandierina ma neppure corse verso il centrocampo (…) Io continuai a correre senza guardarmi indietro. Prima di tutti gli altri mi raggiunse il «Checho» (Batista), ma lentamente, come se stesse pensando: «Non lo annulla, non lo annulla…». Io volevo che arrivassero anche altri e invece mi raggiunsero solo Valdano e Burruchaga. Perché Bilardo aveva proibito ai centrocampisti di andare a esultare dopo i gol, non voleva che si stancassero. Ma stavolta avevo bisogno di loro, ne avevo bisogno… Credo che loro non volessero neanche guardare indietro, verso il campo, per paura che annullassero il gol. Quando il «Checho» arrivò, mi chiese: «L’hai presa con la mano, vero? L’hai presa con la mano?». E io gli risposi: «Non rompere, e pensa a festeggiare». Guardai verso la zona della tribuna dove si trovavano mio padre e «Coco» (il suocero Villafane). Rivolsi a loro un gesto con il pugno chiuso, e loro mi risposero allo stesso modo. La paura che lo annullassero c’era ancora, ma non lo annullarono.Di quel gol con la mano non mi pento assolutamente. Nessun pentimento! Con tutto il rispetto che meritano tifosi, giocatori e dirigenti, non mi pento affatto. Perché con questo genere di cose ci sono cresciuto, perché a Villa Fiorito segnavo gol di mano continuamente. E la stessa cosa feci davanti a centomila persone che non si accorsero di nulla. Perché tutti esultarono per il gol. E se esultarono fu perché non avevano il minimo dubbio. Quindi, adesso, come potete pensare di dare la colpa al mio amico tunisino? Vinsi perfino una causa contro un giornale inglese, che titolò: Maradona, il pentito, cosa che non mi passò mai per l’anticamera del cervello. Né allora né trent’anni dopo… E non mi pentirò neanche all’ultimo respiro della mia vita, prima di morire (…).Io feci molti gol con la mano. Molti. Nei «Cebollitas», nell’Argentinos, nel Boca, nel Napoli. Con i «Cebollitas» ne feci uno al Parque Saavedra. Gli avversari mi videro e circondarono l’arbitro. Ma alla fine lo convalidò il gol e venne fuori un casino terribile. Sapevo bene che non era una bella cosa da fare, ma un conto è dirlo a mente fredda e un altro, molto diverso, è prendere la decisione durante la gara, quando sei in trance agonistica. A volte vedi arrivare il pallone e la mano ti parte da sola. Ricordo sempre un arbitro che mi annullò un gol segnato di mano, con la maglia dell’Argentinos, contro il Velez, molti anni dopo i «Cebollitas» e molto prima di Messico 86, con la maglia della nazionale. Mi disse di non farlo più, ma io gli risposi che non potevo promettere niente. Immagino che anche lui abbia festeggiato come un pazzo dopo la vittoria contro l’Inghilterra. Non lo so, però lo immagino. Con la maglia del Boca ne feci uno contro il Rosario Central e non se ne accorse nessuno, nessuno mi fece domande. E la toccai in porta così, tac, sul primo palo. Con il Napoli, successivamente, ne feci uno contro l’Udinese e un altro alla Sampdoria. Il gol contro l’Udinese fu quello dopo il quale Zico mi si avvicinò, in campo, e mi disse: «Se non dici che hai segnato con la mano, sei un disonesto». Io gli diedi la mano e dissi: «Molto piacere, Zico. Io sono Diego Armando Disonesto Maradona». Fonte: Il mattino