GdS – La sentenza a De Santis è un avviso agli ultrà!

Che nessuno ci resti male, ma va detto con franchezza: ventisei anni di carcere sono tanti, «una pena molto severa», riconosce il ministro dell’Interno Alfano. Forse anche esemplare, aggiungiamo noi. Per carità, Ciro Esposito meritava giustizia e giustizia, come ha riconosciuto la mamma, ha avuto. Finalmente, si dirà. Mai prima di ieri, infatti, un delitto da stadio aveva «meritato» tanti anni di detenzione. Senza andare troppo in là, nel 1995 l’ultrà milanista Simone Barbaglia accoltella al cuore il tifoso genoano Vincenzo Spagnolo: condannato a 14 anni e 6 mesi (ma ne trascorre in carcere la metà). Nel 2007 l’ispettore Raciti muore negli scontri con gli ultrà catanesi: la Cassazione condanna a 8 anni Antonino Speziale, minorenne, e a 11 Domenico Micale. Nel 2012 Massimo Ciarelli organizza con tre complici un raid per punire Domenico Rigante, ultrà del Pescara, colpevole di averlo oltraggiato la sera prima. Gli spara un colpo di pistola nel suo appartamento, in Appello becca 30 anni. Un mese fa la Cassazione ha annullato l’aggravante della premeditazione, chiedendo alla Corte d’Assise di rimodulare la pena. In questo senso, certamente, la condanna di Daniele De Santis è senza precedenti. Solo la concessione delle attenuanti generiche, infatti, gli ha evitato l’ergastolo. E dire che nel corso del processo qualche dubbio era emerso, non sulla sua colpevolezza, ma sulle circostanze in cui era maturata la sparatoria di Tor di Quinto. Il suo legale, Tommaso Politi, citando le perizie dei carabinieri del Racis e le contraddittorie testimonianze dei tifosi napoletani, nella requisitoria di qualche giorno fa si era spinto a dire: «In questa storia non ci sono mostri né eroi». I giudici non lo hanno ascoltato, convinti della solidità delle accuse dei pm. E, forse, influenzati anche dal momento storico. Non c’è da scandalizzarsi, sono umani. Ecco perché è lecito chiedersi se la condanna di ieri, oltre a poggiare su solide basi giuridiche, non risponda alle aspettative di un’opinione pubblica mai così sensibile all’argomento «sicurezza negli stadi (e dintorni)» e non contenga un avviso agli ultrà più violenti: non riprovateci, qui non si scherza più. Del resto, l’ultimo episodio di follia è vecchio di appena quattro giorni: due malcapitati che festeggiavano il compleanno in un bar a pochi chilometri dall’Olimpico accoltellati dopo la finale di Coppa Italia dagli ultrà milanisti, senza un perché. Rispetto a Ciro Esposito, sono stati solo più fortunati.

Alessando Catapano (GdS)

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