Paolo Condò: “Sarri merita la riconferma”

Alex Ferguson affermava di non volere nelle sue squadre i cosiddetti «buoni perdenti», ovvero quei giocatori che riemergevano da una sconfitta come se niente fosse, consapevoli magari di aver dato il massimo e per questo in pace con la loro coscienza. Sir Alex preferiva i «cattivi perdenti», gente che si infuriasse per il k.o. a prescindere da come fosse venuto, uomini che non riuscissero a prendere sonno da quanto male stavano. Li voleva così perché nella partita successiva avrebbero fatto di tutto pur di non riprovare quel dolore. Se il suo Manchester United ha vinto così tanto ­ concludeva ­ lo deve al fatto che i suoi campioni non fossero psicologicamente in grado di gestire la sconfitta. Le librerie di Napoli devono aver venduto molte copie dell’autobiografia di Ferguson, se è vero che la più bella stagione azzurra dopo quelle di Diego Maradona ­ cifre alla mano, ma anche calcio rimasto negli occhi ­ si sta chiudendo in un clima fra il deluso e il rabbioso, sigillato da un silenzio che accentua le incomprensioni come una lente d’ingrandimento. Ma è davvero questa la strada per rilanciare la sfida alla Juve? Intendiamoci: perdere fa male sempre, specie dopo aver cullato così a lungo l’ambizione massima, e quindi un sentimento negativo, depresso o polemico che sia, si spiega. Ma lasciar galleggiare nell’aria un dubbio, per quanto minimo, sulla continuità di Maurizio Sarri è un’altra faccenda: significa minare la base di un progetto ripartito con grande slancio e già arrivato lontano. Il Napoli di Aurelio De Laurentiis va discretamente bene da tempo: sia Walter Mazzarri che Rafa Benitez hanno ottenuto risultati in linea con le forze a disposizione, anche se l’ambiente ha la perniciosa tendenza a minimizzare il passato, quasi che ripartire da zero ogni due estati innamorandosi di un nuovo condottiero implicasse il ripudio di quello vecchio. Sia come sia, il contratto «cinematografico» con cui De Laurentiis vincolò Sarri l’anno scorso aveva un senso: il mondo è pieno di grandi allenatori «da Empoli» che non riescono ad applicare il loro calcio nel grande club di una grande città, giusto quindi cautelarsi. Nell’arco di un campionato ­ a prescindere dal fatto che lo chiuda al secondo posto, com’è probabile, o al terzo ­ Sarri ha fugato questo dubbio. Il suo calcio è grande anche a Napoli. Deve migliorare in ciò che circonda il puro campo, perché la comunicazione fa parte del suo lavoro: ma sono cose che si imparano, mentre l’altra è un’arte per molti versi innata. Non stiamo parlando di soldi ­ quelli sono fatti loro ­ ma di clausole: Sarri si è meritato un contratto «calcistico». Fonte: Gasport

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