Il turn-over è inteso da molti come lo schierare giocatori non titolari in partite di Coppa Italia o poco importanti per la classifica di Serie A, di un girone di Champions o Europa League. Questa credenza è particolarmente in voga tra gli allenatori italiani, dimenticando talvolta che altre sue sfumature possono risultare decisive a stagione in corso, a patto che ci siano le dovute condizioni per metterla in pratica.
Cambiare formazione adattandosi all’avversario e/o allo stato fisico dei propri calciatori, fisiologicamente ondivago durante un’annata, può essere infatti una delle armi vincenti. Ma anche a doppio taglio, quando si hanno a disposizione cosidette riserve non all’altezza dei titolari o quando, come spesso accade nel calcio, la singola partita viene decisa da un episodio. Il tutto al netto di 8-9 mesi all’anno durante i quali i top club nazionali ed europei giocano all’incirca 50-60 match, nei quali ci sono in palio quantomeno 3 punti. La rotazione diventa così imprescindibile ma allo stesso tempo pericolosa, potendo portare a sconfitte in serie o all’improvvisazione, e pertanto va centellinata e studiata a tavolino.
Questo non è un problema per Maurizio Sarri, perfezionista e pignolo per eccellenza della panchina, che fin qui, risultati alla mano, non ha sbagliato una scelta in tal senso e non solo. Il suo 4-3-3 con Reina, Hysaj, Albiol, Koulibaly, Ghoulam, Allan, Jorginho, Hamsik, Callejon, Higuain e Insigne, coniato ad hoc per il campionato, ha già suscitato le prime accuse di integralismo, dimenticando i 4-3-1-2 costati 7 punti al Napoli ed il motto “Squadra vincente non si cambia”. La straordinaria progressione in campionato tuttavia non ha impedito agli azzurri di farsi valere in Europa League, approdando ai sedicesimi di finale sulla scia di numerosi record. Il “turn-over” di Sarri è stato dunque impeccabile quanto efficace, fermo restando che i panchinari si chiamano Maggio, Chiriches, Valdifiori, Mertens e Gabbiadini, spesso in compagnia degli eroi del campionato.
La morale della favola è che, mentre molti allenatori camuffano il loro desiderio di stabilità e di una formazione tipo con la presunta camaleonticità della propria squadra, con la storia della tre competizioni da affrontare e col “tutti sono utili”, il professor Sarri sembra aver già risolto il rompicapo.
A cura di Mario De Martino