Daniel Bertoni, 61 anni, campione del mondo con l’Argentina nel ‘78, tre coppe Libertadores e una Intercontinentale con l’Independiente negli anni 70, arriva a Firenze nel 1980, alla riapertura delle frontiere, ci resta fino al 1984. Poi due campionati a Napoli (53 presenze e 14 reti), poi l’Udinese ultima tappa italiana. Bertoni, se le dico «scudetto» cosa le viene in mente?
«Che quell’estate lasciai Napoli e andai a Udine. Mi vuoi del male amigo?»
Estate 1986. Comincia la straordinaria cavalcata del Napoli di Maradona. Trent’anni dopo la storia può ripetersi.
«Napoli o Juve, da lì non si scappa. Lo scudetto è un affare per due. Credevo che l’Inter durasse un po’ di più, ma è una squadra ancora incompleta»
Se la giocheranno fino alla fine? «Fino alla fine spero di no. E’ una speranza per il mio Napoli»
Perché?
«Perché io, quando giocavo nella Fiorentina, arrivai all’ultima giornata a pari punti con la Juventus»
Campionato 1981-82, il campionato che portò al Mundial spagnolo.
«Quello. All’ultimo turno la Juve vinse a Catanzaro, con un rigore di Brady. E noi pareggiammo a Cagliari 0-0, ma ci annullarono un gol».
E’ il calcio.
«Ehhhhh… Il loro rigore non c’era e il nostro gol, di Graziani, era regolarissimo. Ok, è il calcio; ma arrivare a giocarsi lo scudetto al fotofinish con la Juve è pericoloso. Questa di Allegri poi è una squadra fortissima, non si vincono per caso dieci partite di fila».
Il Napoli ha trovato il suo trascinatore: Higuain.
«Campione straordinario. 20 gol in 20 partite, sta vivendo una stagione meravigliosa»
E’ Higuain il centravanti più forte del mondo?
«Guarda, davanti per ora ne ha un paio: Lewandowski e Suarez, ma lui è appena dietro e in Italia fa la differenza. Anche se devo dire che la
serie A non è più quella dove giocavo io: Maradona, Zico, Platini, Rummenigge, Boniek, Socrates, Passarella, Brady, c’erano campioni in ogni squadra». Chi sono i campioni di questa serie A?
«Higuain, Pogba, Dybala, non ne vedo tanti altri»
Che momento sta passando il calcio argentino?
«Complicato, c’è la crisi, le società sane sono pochissime, il Boca e un altro paio. Poi ci sono club pieni di debiti che rischiano il fallimento. La colpa? La cattiva gestione di questi anni, e ora ne paghiamo le conseguenze».
Però in Argentina nascono sempre grandi giocatori.
«E’ vero, è nel nostro dna. Ma vedo ragazzi partire troppo presto, appena maggiorenni sbarcano in Europa, invece avrebbero bisogno di tempo per crescere e maturare. Ma i club hanno fretta di venderli per intascare cash. E poi magari, come ha fatto di recente l’Independiente, cercano un 34enne come Denis per risolvere i problemi. Non è così che si programma il futuro, non è così che il movimento cresce e migliora».
Ci indica un talento pronto per i grandi club europei? «Mi piace Calleri, l’attaccante ex Boca che stava andando all’Inter. Ma avete visto che casino è saltato fuori? Quando ci sono troppi interessi non si fa il bene di un calciatore».
E da Buenos Aires, dove lei vive, che idea si è fatto della nazionale azzurra?
«L’Italia ha smesso di vincere, e di essere competitiva, quando ha cambiato la sua natura. Negli anni ’70 e l’80 gli azzurri avevano un’identità ben precisa. Difesa fortissima, contropiede, giocatori di talento in attacco. Da più di un decennio invece mi pare abbia cambiato modo di giocare, copiando le altre squadre europee. Il Mondiale vinto nel 2006 è stato un caso episodico, da tanto tempo l’Italia fa fatica nelle grandi manifestazioni. Anche perché mancano i campioni. Non per niente si sta tornando agli anni ’30, quando la nazionale arruolò Mumo Orsi e altri. Conte sta facendo lo stesso con Eder, Vazquez…».
L’Argentina ha il parco attaccanti più forte del mondo.
«Sì, però non vince niente».
Messi, Higuain, Aguero, Tevez, Lavezzi, Dybala: chi ce li ha?
«Nessuno. Però ti ripeto: nei loro club sono fenomeni, poi in nazionale non combinano granchè»
Per che motivo?
«Sinceramente non lo so. So solo che se a quelli del Barcellona di oggi metti addosso la maglia, dico a caso, della Georgia, allora la Georgia vincerà il Mondiale». Ok, vince la squadra più del campione.
«Diciamo che vince la squadra che ha tanti campioni. Però ci deve essere una struttura solida, ci deve essere, come ti dicevo, una squadra che sostenga le giocate di questi campioni».
Lei chi farebbe giocare?
«Messi, chiaro. Poi si può solo scegliere, ecco, magari Lavezzi mi piace un po’ meno, in Argentina non l’abbiamo mai considerato all’altezza degli altri, ottimo giocatore, ma non esattamente un fuoriclasse».
Torniamo al Napoli: Sarri lo conosce?
«Me ne hanno parlato bene i miei amici napoletani, ha costruito una squadra da scudetto e farlo al primo anno non è un merito da poco. Ti racconto un aneddoto».
Siamo qua.
«Qui a Buenos Aires il responsabile di Alitalia è un napoletano, ovviamente tifosissimo del Napoli. Ci sentiamo spesso. In estate gli ho
detto: amico, sai quale è stato il miglior acquisto del Napoli? E lui: no, dimmelo tu Daniel. E io: Benitez che se n’è andato» Carinerie per Rafa.
«Non è un allenatore da grande club, hai visto cosa è successo al Madrid?»
Vero. Però quando era alla guida del Liverpool, Benitez una Champions l’ha vinta.
«Amigo, il Milan nel primo tempo stava 3-0 e poteva farne cinque-sei, non so neanche io cosa sia capitato dopo. Te lo ridico: il Napoli ha cominciato ad essere competitivo cambiando Benitez con Sarri».
Corriere dello Sport